Lungo il Danubio, al confine tra Croazia e Serbia, c’è un piccolo lembo di terra, mezzo chilometro di costa fluviale, dimenticato da Zagabria, ignorato da Belgrado, mai rivendicato dopo la dissoluzione dell’ex-Jugoslavia. Fino a quando, nel maggio 2019, un gruppo di ventenni vi piantarono bandiera e fondarono la Libera Repubblica di Verdis. Tutto liscio sulla carta – la formazione del governo provvisorio, i primi contatti istituzionali – tranne quando, nell’ottobre 2023, i fondatori, l’ora 20enne Daniel Jackson e i primi abitanti, decisero di insediarsi sul territorio, riscontrando l’incursione delle autorità croate, che li hanno arrestati ed espulsi insieme ad alcuni giornalisti. Sono trascorsi due anni dal colpo di mano: Verdis rimane sotto occupazione e i suoi fondatori possono vederla soltanto navigando il Danubio, rischiando però l’arresto da parte delle autorità croate, come accaduto a inizio settembre a uno dei fondatori, nonché ministro degli Esteri. “Sono i rischi che si corrono quando si fonda uno Stato, ma non ci arrendiamo: siamo preparati a questa e altre evenienze, in una zona di per sé conflittuale”, commenta Jackson a Ilfattoquotidiano.it, ricordando che “le autorità croate sono state molto aggressive” durante l’incursione del 2023, pur consapevoli di aver “violato il diritto internazionale”, in quanto quella terra “non è loro”.

Ma al di là dell’accaduto, l’agenda di Verdis non cavalca il rancore contro Zagabria e mantiene l’orizzonte del riconoscimento da parte di più Paesi, compresa la Croazia. “Per ora non abbiamo buoni rapporti con loro, ma puntiamo ad averli”, sostiene il giovane leader, che si guarda bene da eventuali tranelli, come il favore di Belgrado, Bucarest o Sofia in chiave anti-croata, adottando uno stile di buon vicinato. “Vogliamo il riconoscimento di entrambi, di tutti”, continua Jackson, che sull’eventuale scelta di campo tra Russia e Ucraina chiarisce: “Sin dall’inizio ci siamo pensati come uno Stato rispettoso dell’ambiente, neutro, di pace” e “terreno di dialogo tra leader e Paesi differenti”.

Jackson ribadisce il messaggio di pace di Verdis, rispecchiato anche nella sua bandiera: una fascia bianca, orizzontale, e le altre due, in alto e in basso, celesti, a rappresentare il cielo e il Danubio. “Vengo spesso minacciato da gruppi nazionalisti croati e serbi, e questo mi spaventa un po’”, sostiene Jackson, che da allora non è più riuscito a entrare in Croazia: “Altri fondatori di Verdis sono stati espulsi per tre mesi, ma io resto permanentemente bandito dal loro territorio, perché mi ritengono una minaccia alla sicurezza”. “A dire il vero mi sento più sicuro quando sono in Serbia“, aggiunge. Di Verdis ne ha parlato anche il Serbian Times, che lo definisce il secondo Stato più piccolo del mondo dopo il Vaticano, riportando con ammirazione la storia di Jackson. Lo fanno anche The Guardian, Russia Today e altre testate mentre sulla sponda croata prevale il silenzio, anche da parte delle autorità.

Alla domanda “tornerebbe a vivere lì?”, Jackson risponde: “Sì, mi piacerebbe viverci per sempre. Perciò mi auspico che il blocco croata finisca presto”. Attualmente Verdis vanta tre uffici di rappresentanza distribuiti a in Bulgaria, Serbia e Regno Unito. In quelle mura si discute e si delibera sul futuro del Paese: si parla di future elezioni, alle quali Jackson non vorrebbe ricandidarsi per “vivere come un normale cittadino di Verdis“, e si pensa a una Costituzione che “metta nero su bianco i valori fondanti della piccola Repubblica” e sia alla base a di “un sistema di governo più stabile, mettendo fine ai governi provvisori”. Il dibattito evolve poi sull’economia, le infrastrutture e gli investimenti futuri. Verdis vanta almeno 400 cittadini e 15mila richieste. La cittadinanza è poi accessibile a costruttori, ingegneri e a chiunque possa dare una mano alla costruzione del Paese, oltre a opzioni come la naturalizzazione e l’e-residence, cioè la residenza elettronica, in attesa del territorio, che fa la differenza tra utopia e realtà.