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Redazione Sport
Il fondatore della Clinica Mobile e angelo custode dei piloti del motomondiale si è raccontato al Bsmt, ospite di Gianluca Gazzoli: «A Sepang, sulla griglia di partenza, Marco aveva l’asciugamano al contrario. Il padre lo bruciò»
Per 40 anni Claudio Costa è stato per tutti il Dottor Costa, l’angelo custode dei piloti del motomondiale, colui che fondò la Clinica Mobile salvando vite e sogni, contribuendo a recuperi insperati e alimentando la mitologia di uno sport che rifugge la normalità. Ospite del The BSMT condotto da Gianluca Gazzoli, si è raccontando senza risparmiarsi i momenti più dolorosi.
L’asciugamano al contrario
Fra questi anche la tragica morte di Marco Simoncelli in Malesia nel 2011 a soli 24 anni: «La gara precedente, a Phillip Island, era arrivato secondo dietro a Stoner, che su quel tracciato era molto difficile da battere. Atterrò dunque a Sepang con la consapevolezza di poter vincere — racconta — come ho scritto nel mio libro, sulla griglia di partenza Marco aveva in testa un asciugamano al contrario. Il padre lo bruciò, considerandolo un segnale sfavorevole. Io quel giorno non c’ero, ma se fossi stato presente e avessi visto quell’asciugamano, gli avrei detto che gli dei quel giorno non lo avrebbero aiutato a vincere ma che, allo stesso tempo, avrebbe trionfato il weekend seguente a Valencia e in futuro avrebbe vinto il mondiale». Una visione dunque molto superstiziosa quella del Dottor Costa, che non si nasconde: «La superstizione non è una debolezza ma un pregio. Ti dà l’illusione di poter controllare una realtà che non è sempre favorevole all’uomo»
«Aprii la bara di Simoncelli a casa sua»
Poi il racconto si sposta più avanti, a quando la salma di Simoncelli arrivò a casa sua, a Coriano: «Feci qualcosa di non regolare, cioè aprii la bara per permettere alla sorella di poterlo vedere. Era giusto che lo salutasse, anche se lei si era nascosta sotto al tavolo perché non voleva. Il corpo non si era irrigidito. A un certo punto vidi un documento, era la relazione dell’autopsia. C’era scritto «no alcohol, no drugs». Mi riempì di gioia, perché significava che Marco era rimasto un ragazzo pulito fino alla fine. La tragedia è devastante, ma può generare luce. Da quella perdita è nata la forza della sorella Martina e l’amore di una comunità che oggi continua a vedere in Marco un simbolo».
Lo screzio con Valentino Rossi
Un altro pilota con cui il Dottor Costa aveva costruito un legame molto forte è stato Valentino Rossi: «Di lui mi colpì moltissimo la capacità di giocare, oltre ai titoli di campione del mondo e al coraggio di passare dalla Honda alla Yamaha dimostrando una maturità che non è sempre un pregio dei piloti».
Fra i due però qualcosa si rompe, era il 2010: «Aveva una lesione alla spalla, ci avevamo lavorato e lui fece un grande secondo posto a Le Mans. Poi, mentre ci stavamo preparando alla gara successiva al Mugello, qualcuno gli fece presente che esistevano dei metodi diversi dai miei. Io feci l’errore di prendermela, sono umano. Ero il Dottor Costa, vivevo in una dimensione che mi avevano insegnato gli stessi piloti, essere messo in discussione mi rese molto triste. Non sono riuscito a curarlo col mio sistema. Il giorno dopo si ruppe la gamba, andammo in ospedale e facemmo un intervento giustissimo che gli permise di rientrare dopo poche settimane in Germania. Ma ormai non c’era più quell’unione mistica pilota-paziente che c’era sempre stata. Successivamente ci siamo visti e abbracciati, ma non ero più io il medico ufficiale di Valentino. Non mi sentivo libero di poterlo essere».
18 ottobre 2025 ( modifica il 18 ottobre 2025 | 07:28)
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