Claudio Costa, 84 anni, è conosciuto dai più come “Dottor Costa“. Del resto, è il medico volto della Motogp, ha passato gran parte della sua carriera salvando piloti motociclisti, l’ha reso il suo obiettivo, fino a fondare la Clinica Mobile. Una vita dedicata a riabilitare e a curare i motoclicisti, anche se non priva di momenti strazianti. Ospite del podcast BMST, il Dottor Costa racconta alcuni aneddoti, anche quelli più dolorosi.
Il Sic
Tra quelli più amari, i ricordi della tragica morte di Marco Simoncelli, il campione che perse la vita nel 2011, a soli 24 anni, in seguito a un incidente sul circuito di Sepang. Nella gara precedente, a Phillip Island, racconta Costa, Sic era arrivato secondo dietro Stoner, «molto difficile da battere». Quindi, dice, il 24enne arrivò a Sepang con un una consapevolezza: poter raggiungere la vittoria. Ha un rimpianto: quel giorno, non era con il motociclista.
«Sulla griglia di partenza», racconta, «Marco aveva in testa un asciugamano al contrario. Il padre lo bruciò, considerandolo un segnale sfavorevole». E aggiunge: «Se fossi stato presente e avessi visto quell’asciugamano, gli avrei detto che gli dei quel giorno non lo avrebbero aiutato a vincere ma che, allo stesso tempo, avrebbe trionfato il weekend seguente a Valencia». In futuro, secondo lui, anche il mondiale. Perché la superstizione, specifica, non è una debolezza, semmai un pregio. «Ti dà l’illusione di poter controllare una realtà che non è sempre favorevole all’uomo».
«”No alcohol, no drugs”»
E quando la salma Simoncelli tornò a casa sua, a Coriano, «feci qualcosa di non regolare», racconta, «aprii la bara per permettere alla sorella di poterlo vedere».
Voleva darle la possibilità. Ma anche nel momento più nero, qualcosa è riuscito a risollevare il medico, che ha conosciuto il ragazzo, oltre che l’atleta.«Vidi un documento, era la relazione dell’autopsia».
Bastò una scritta: “No alcohol, no drugs”. Mi riempì di gioia, significava che Marco era rimasto un ragazzo pulito fino alla fine». Una perdita incolmabile, ma che ha trasmesso a chi è sopravvissuto il bene e la luce del Simoncelli. «Marco è diventato uno di noi. È qualcosa di più grande di un pilota. È un simbolo di coraggio e purezza. È parte di tutti noi che viviamo di moto e di passione».
«Valentino Rossi mi mise in discussione»
Tra medico e pilota, il legame non può che essere forte, profondo. Uno di quelli che ricorda con affetto è proprio Valentino Rossi. «Mi colpì moltissimo la sua capacità di giocare, oltre ai titoli di campione del mondo e al coraggio di passare dalla Honda alla Yamaha, dimostrando una maturità che non è sempre un pregio dei piloti».
Ma nel 2010, qualcosa si incrina. Rossi ebbe una lesione alla spalla, che avevano curato, ed era arrivato secondo a Le Mans. «Mentre ci stavamo preparando alla gara successiva al Mugello, qualcuno gli fece presente che esistevano dei metodi diversi dai miei». Lui reagì male: «Feci l’errore di prendermela, sono umano. Ero il Dottor Costa, vivevo in una dimensione che mi avevano insegnato gli stessi piloti, essere messo in discussione mi rese molto triste».
Poi Rossi si ruppe una gamba, tornò a correre poche settimane dopo, in Germania, dopo un intervento «giustissimo». Ma il rapporto si era ormai guastato. «Non c’era più quell’unione mistica pilota-paziente che c’era sempre stata. Successivamente ci siamo visti e abbracciati, ma non ero più io il medico ufficiale di Valentino. Non mi sentivo libero di poterlo essere».
Ultimo aggiornamento: sabato 18 ottobre 2025, 13:51
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