di
Marta Serafini

I danni inferti dai russi alla rete energetica ucraina e i 2 miliardi di euro da trovare il prima possibile

Missili, sanzioni e soldi per il gas. Sa di avere bisogno di tutti e tre Zelensky mentre entra per la terza volta nello Studio Ovale di Trump. Tuttavia l’intento del padrone di casa di chiudere la guerra in Ucraina come per Gaza, qualunque cosa questo significhi, costringe ancora una volta il leader di Kiev a ridimensionare le speranze.

«Iniziamo a capirci» è tra i pochi commenti fatti dal presidente ucraino dopo il faccia a faccia. Certo, i rapporti sono migliorati dal disastro di febbraio, ora Trump fa perfino i complimenti al suo ospite per il look. Eppure dei Tomahawk, i missili a lungo raggio che servono all’esercito ucraino per gli attacchi in profondità sulle fabbriche e le infrastrutture russe, ancora non c’è traccia. Trump non dà via libera perché sa che altrimenti Putin a Budapest non si farebbe vedere. Da parte sua Zelensky, preceduto da una delegazione guidata dalla sua premier Yulia Svyrydenko e dal suo vice Andriy Yermak, ha incontrato i rappresentanti dei produttori americani dei Tomahawk e dei Patriot, Raytheon e Lockheed Martin tentando di proporre in cambio droni ucraini. Ma finché il comandante in capo dell’esercito più potente del mondo non gli dà luce verde, Kiev non può fare più di quanto stia già facendo.



















































E non solo. Da gestire per il presidente ucraino c’è un’emergenza in vista dell’inverno e che ha un impatto enorme per la popolazione civile. Giovedì, per il secondo giorno consecutivo, sono state imposte interruzioni di corrente in tutto il Paese per i danni causati dagli attacchi russi alle infrastrutture. Inoltre, secondo Bloomberg, gli ultimi raid hanno distrutto addirittura il 60% dell’intera produzione di gas ucraina. Un colpo che costringerà Kiev a un esborso di 2 miliardi di euro per acquistare gas dall’estero. Soldi di cui però l’Ucraina, piegata da tre anni e mezzo di guerra, non dispone. E non a caso all’incontro con Trump ha preso parte anche la ministra dell’Economia ucraina Svitlana Hrynchuk.

Zelensky è infine desideroso di convincere gli Stati Uniti a impegnarsi per esercitare una maggiore pressione economica sulla Russia. La proposta di legge del Senato per imporre sanzioni a Mosca e ai suoi partner commerciali è rimasta bloccata per mesi, nonostante il sostegno bipartisan mentre Trump tentennava. Il leader della maggioranza al Senato, John Thune, ha fatto sapere che il voto sul pacchetto di sanzioni potrebbe arrivare nei prossimi 30 giorni ma il vertice di Budapest rischia di rimandare ulteriormente questa partita. E dunque a Kiev non resta che sperare nello scongelamento degli asset russi per racimolare soldi da usare per l’acquisto di armi.

Soprattutto, però, Zelensky ha bisogno di un cessate il fuoco. Trump ha lasciato aperta la possibilità che il leader ucraino partecipi al prossimo incontro con Putin: «È da determinare», ha detto, osservando ironicamente che tra i due «non scorre buon sangue». Ma andare a Budapest, per Kiev significherebbe piegarsi a Mosca tanto quanto cedere i territori, anche quelli che l’Armata non ha conquistato. Un’umiliazione troppo grande non solo per ragioni storiche: nella capitale ungherese l’Ucraina ha siglato nel 1994 un disarmo di cui il Cremlino ha approfittato annettendosi la Crimea nel 2014 e invadendo il Paese nel 2022. Ma, soprattutto, sarebbe una mossa irrazionale, perché se Putin continua a rivendicare il controllo dell’iniziativa sul fronte dimostrando di non volere davvero mettere fine ai combattimenti, in realtà le cose stanno in un modo che ha solo un nome: stallo. 

18 ottobre 2025