L’azienda cinese ha mostrato un particolare concept di smartphone con una fotocamera senziente. Nessuna notizia circa l’effettivo arrivo sul mercato
C’è qualcosa di inquietantemente affascinante nel video teaser che Honor ha diffuso nelle ultime settimane. Al termine della presentazione del suo più recente smartphone di punta, il marchio cinese ha mostrato un prototipo — o forse soltanto un concept digitale — che sembra uscito da un film di fantascienza. Lo ha chiamato, provvisoriamente, Robot Phone. E la sua promessa è chiara: creare uno smartphone che non si limiti a essere usato, ma che agisca, si muova e “osservi” il mondo da sé.
L’elemento che cattura subito l’attenzione è la fotocamera principale, montata su un braccio robotico che emerge dal corpo del telefono. Quando viene attivato, l’obiettivo si dispiega da sotto una copertura traslucida sulla scocca posteriore e si allunga su un’appendice motorizzata, dotata di un sistema di stabilizzazione gimbal. Può ruotare, muoversi in varie direzioni, inseguire soggetti, realizzare riprese fluide. È un’evoluzione estrema della fotocamera “pop-up” vista in passato: non un modulo che si solleva o ruota, ma un vero braccio meccanico autonomo, in grado di comportarsi come un piccolo operatore video personale.
Nel breve filmato di presentazione, questo braccio sembra quasi avere una propria personalità. Si muove con curiosità, esplora l’ambiente, si orienta verso le luci, come un piccolo robot animato da vita propria. È una trovata narrativa, certo, ma non casuale: Honor vuole che la fotocamera smetta di essere un semplice sensore e diventi qualcosa di più interattivo, capace di instaurare una relazione con l’utente.
Tra suggestione e realtà
L’idea è potente, anche se per ora rimane più un esercizio di immaginazione che un prototipo funzionante. Honor non ha diffuso specifiche tecniche, né immagini reali del dispositivo. Non si conoscono le dimensioni del display, il processore, la memoria, né la risoluzione delle fotocamere. Tutto ruota intorno al concetto: uno smartphone che “esce dal guscio”, con una fotocamera mobile che si muove liberamente per inquadrare ciò che vuole.
Secondo quanto si è potuto osservare, il braccio robotico è nascosto nella parte posteriore, sotto una copertura nera semitrasparente. Quando si attiva, la meccanica lo dispiega con un movimento fluido e preciso. L’obiettivo, stabilizzato su un gimbal, può orientarsi in ogni direzione, un po’ come una piccola steadycam integrata. È pensato per il vlogging, per le videochiamate, ma anche per inquadrature creative: dall’alto, dal basso, con panoramiche automatiche o rotazioni continue.
Il concept si inserisce in una tendenza più ampia: gli smartphone che sperimentano con forme e funzioni robotiche. Dopo gli schermi pieghevoli e quelli arrotolabili, l’attenzione si sposta sulla fotocamera, che diventa non solo intelligente, ma anche dinamica. È il tentativo di rendere sempre più automatica l’interazione con il dispositivo: non più muovere il telefono per ottenere l’inquadratura giusta, ma lasciare che sia il telefono a muoversi per noi.
Le sfide dell’adozione
Dietro la suggestione visiva si nascondono però dubbi concreti. Un braccio robotico implica meccanica complessa, motori miniaturizzati, sensori di movimento e sistemi di bilanciamento. Tutto questo ha un costo — in termini di spazio, di peso, di consumo energetico — che difficilmente si sposa con la ricerca di leggerezza e autonomia tipica degli smartphone moderni.
La prima domanda è: quanto può durare un meccanismo simile? Ogni parte mobile è, per definizione, un punto debole. Urti, polvere, umidità, usura meccanica: sono tutti nemici della precisione e dell’affidabilità. Le fotocamere “pop-up” di qualche anno fa, che si sollevavano per i selfie, sono state abbandonate proprio per questi motivi. Aggiungere un braccio articolato, con assi di movimento e gimbal motorizzato, moltiplica le incognite.
C’è poi la questione della batteria. Muovere fisicamente un obiettivo richiede energia. Se il braccio robotico restasse attivo per lunghi periodi — ad esempio durante una videochiamata o una diretta — il consumo sarebbe significativo. In un mondo in cui anche pochi minuti di autonomia in più fanno la differenza, questa non è una variabile trascurabile.
Infine, il peso e lo spessore. Il concept mostra un dispositivo decisamente più spesso di un normale smartphone, con un modulo posteriore voluminoso. È un compromesso inevitabile: per ospitare meccanica e giroscopi, serve spazio. Ma un telefono troppo pesante o squilibrato rischia di diventare scomodo da usare, vanificando il fascino tecnologico dell’idea.
Un occhio che si muove da solo
Al di là dei problemi tecnici, il Robot Phone propone un modo nuovo di intendere la fotocamera mobile. Oggi l’intelligenza artificiale può riconoscere volti, sorrisi, soggetti in movimento. Honor immagina di fare un passo in più: non solo riconoscere, ma reagire. Se l’utente si sposta, la fotocamera lo segue. Se un oggetto entra nell’inquadratura, il braccio si orienta automaticamente per catturarlo. Se si poggia il telefono su un tavolo, il sensore può ruotare da solo per mantenere il volto al centro della scena durante una videochiamata.
È una visione coerente con la direzione in cui si muove l’industria: smartphone sempre più autonomi, in grado di anticipare i bisogni dell’utente. In questo caso, la fotocamera smette di essere “fissa” e diventa un soggetto attivo, un piccolo assistente che compone la scena al posto nostro.
C’è anche una componente narrativa: il braccio robotico, che nel video sembra quasi “curioso”, è un modo per rendere tangibile il concetto di intelligenza artificiale incarnata. Non solo software invisibile, ma qualcosa che si manifesta fisicamente, che si muove, che interagisce. È una metafora potente del passaggio dall’AI come algoritmo all’AI come presenza concreta.
Tra marketing e ricerca
Honor non è nuova a esperimenti di questo tipo. Negli ultimi anni, dopo la separazione da Huawei, il marchio ha cercato una nuova identità, puntando su innovazione e design futuristici. L’obiettivo è chiaro: non competere solo sul prezzo o sulle prestazioni, ma anche sull’immaginario, sulla capacità di proporre visioni radicali.
Il Robot Phone, in questo senso, è un manifesto. È un modo per dire: «Guardate cosa potremmo fare», più che «Ecco cosa stiamo per vendere». L’industria tecnologica vive anche di sogni, e i concept servono proprio a questo: testare le reazioni del pubblico, misurare la curiosità, raccogliere feedback. Molti prototipi restano esercizi di stile, ma lasciano tracce. Spesso, a distanza di anni, alcune delle idee viste in concept diventano realtà concrete.
Non è un caso che Honor abbia inserito il Robot Phone all’interno del proprio “Alpha Plan”, un piano strategico dedicato alla robotica e all’intelligenza artificiale. Il marchio cinese ha già annunciato investimenti miliardari per sviluppare soluzioni hardware e software capaci di fondere le due aree. Il messaggio è chiaro: lo smartphone del futuro non sarà solo uno schermo connesso, ma un dispositivo “vivo”, che percepisce e reagisce.
L’era della fotocamera senziente
C’è anche un aspetto culturale da considerare. Il Robot Phone incarna la tendenza — ormai evidente — a umanizzare la tecnologia. Dopo gli assistenti vocali e gli avatar digitali, l’interazione si sposta nel mondo fisico. Non più un telefono che risponde con la voce, ma un telefono che si muove. È un passo simbolico, ma importante: la tecnologia non resta più ferma, entra nel nostro spazio.
Nel video promozionale, la fotocamera di Honor si muove come un piccolo animale domestico curioso. È un’operazione estetica e comunicativa: mostrare il lato “amichevole” della robotica. Ma allo stesso tempo apre interrogativi etici e psicologici. Fino a che punto vogliamo che i nostri dispositivi si muovano, ci seguano, ci guardino? Quanto siamo disposti a convivere con oggetti che sembrano osservare autonomamente l’ambiente — e noi con esso?
Sono domande che fino a pochi anni fa sarebbero sembrate esagerate. Oggi non più. Con l’arrivo delle prime piattaforme robotiche domestiche e degli smartphone sempre più “coscienti” del contesto, l’idea di un telefono che ci inquadra da solo non è poi così lontana.
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18 ottobre 2025
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