di
Greta Privitera
I civili: «In ansia per il futuro». Più che alle lotte tra il movimento jihadisti e i clan rivali, gli abitanti di Gaza sono interessati a trovare qualcosa da mangiare e un posto in cui vivere
DALLA NOSTRA INVIATA
TEL AVIV – Vestiti di nero, con i fucili spianati, i miliziani fermano macchine e camion agli incroci polverosi, senza più asfalto. «Chiedono di mostrare un documento d’identità e che cosa si sta trasportando». Qualcuno indossa il passamontagna, qualcun altro la mascherina Ffp3. I palestinesi di Gaza non si curano della minacciosa presenza, un po’ perché sono abituati, un po’ perché hanno ben altro a cui pensare: trovare qualche soldo per mangiare, un posto dove dormire, un antibiotico per il mal di denti, per la bronchite.
«Non funziona niente»
Dalla Striscia, dicono che Hamas sta ristabilendo l’ordine, che finalmente i camion degli aiuti non vengono assaliti dai «banditi» e frutta e verdura arrivano sulle bancarelle senza passare per il mercato nero. Nonostante soltanto il 5% della popolazione di Gaza voglia rivedere i miliziani al governo, «in questo momento, con loro per le strade, la popolazione si sente più al sicuro. Qui è tutto distrutto, non funziona niente e regna il caos», racconta Soliman Hijjeh, giornalista della Striscia senza più casa e ufficio. Subito dopo la tregua, gli uomini con la bandana verde sono sbucati dai tunnel e hanno ripreso il controllo della metà sgomberata dall’esercito israeliano. Ma lo hanno fatto a modo loro: pallottole alle gambe, pallottole in testa ai rivali. Il video delle esecuzioni di piazza «deve essere verificato», ci dice al telefono Ismail Al Thawabtah, portavoce e leader di Hamas a Gaza, fingendo di non capire. Da nove giorni, i miliziani si aggirano tra le macerie per dare la caccia ai traditori, a quelli che in questi due anni di guerra hanno collaborato con Israele, rubato gli aiuti, trafficato armi e droga. Sono soprattutto alcuni membri delle famiglie influenti, già in passato avversari per il controllo di alcune aree dell’enclave e dei traffici illegali.
Meno spari
«C’è stato qualche scontro tra uomini della resistenza e alcuni altri appartenenti ai clan per questioni di sicurezza, per far rispettare lo stato di diritto. Abbiamo perseguito le cellule armate illegali coinvolte in uccisioni di civili e collaborazione con l’occupazione. Ma ora è già tutto sistemato», continua Al Thawabtah. «Da due giorni sentiamo pochissimi spari, forse hanno finito di combattere», commenta Mohammed Amarin, di Gaza City. Nella Striscia, quando si parla di «famiglie» si intendono migliaia di persone con lo stesso cognome, unite da lontani legami di parentela. «Questi clan occupano interi quartieri e strade. I Doghmush e gli Al Hels stanno a Gaza City, gli Al Majaida a Khan Younis, Abu Shabab a Rafah», spiega il giornalista. Stando alle informazioni che arrivano al di qua del confine, ma che non possiamo verificare in modo indipendente, alcuni capi-clan avrebbero accettato che i miliziani punissero i «pochi» membri considerati «banditi» — si parla di decine — e avrebbero consegnato le armi. Un uomo vicino alla famiglia Al Majaida ci gira un comunicato: «Gli Al Majaida, dopo le provocazioni pubblicate dai media ebraici, in cui si è detto che l’esercito di occupazione sia intervenuto per proteggere i nostri durante i recenti scontri, rifiutano questa narrazione fuorviante, che non ha alcun legame con la verità. L’occupazione criminale è la stessa che ha versato il sangue dei nostri figli».
Scavare tra le macerie
Ma le battaglie tra clan e miliziani non interessano molto a i palestinesi: «Niente di nuovo qui. Siamo più ansiosi di capire quale sarà il nostro futuro e se Hamas rispetterà l’accordo di tregua», commenta Amarin. Quindi, riuscirà a consegnare i 16 ostaggi morti ancora a Gaza? Risponde Al Thawabtah: «Recuperare i loro corpi è difficile per la mancanza di attrezzature pesanti. Le forze di occupazione hanno abbattuto edifici sulla testa di tutti, palestinesi e prigionieri. Le operazioni di rimozione richiedono molto tempo. Inoltre, Israele ha lasciato esplosivi ovunque, necessitiamo di un intervento internazionale». Sul disarmo, il portavoce dice che «Israele ha annunciato la distruzione del 90% delle armi di Hamas. Per noi, la resistenza è un diritto legittimo del popolo, secondo le norme internazionali. La fase attuale mira a garantire il controllo sulle armi rimanenti, per questioni di sicurezza». Ma alla fine «dell’occupazione, saranno consegnate e integrate nell’esercito ufficiale palestinese». Per ora, questa, secondo Al Thawabtah, è legittima difesa.
18 ottobre 2025
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