Un’analisi lucida ma che va letta per intero, altrimenti si rischia di aizzare una polemica invece che avviare una riflessione. E ci pare sia più la seconda che la prima, l’intenzione dell’ex sindaco di Padova e già ministro, Flavio Zanonato che di fatto si chiede come una situazione di emarginazione come quella, nota, di Castel D’Azzano, sia stata gestita come un’operazione di ordine pubblico con le drammatiche conseguenze che conosciamo.
«Questa vicenda interroga tutti: le forze dell’ordine, le istituzioni, la politica, ma anche noi cittadini. Ci obbliga a riflettere su come affrontiamo la marginalità, la malattia mentale, la povertà estrema. Forse dietro quella “baracca miserabile” non c’erano solo tre squilibrati, ma il fallimento di un sistema incapace di prevenire e di ascoltare», fa altresì notare l’ex sindaco di Padova. «E mentre le bandiere si inchinano davanti ai feretri, mentre il Presidente della Repubblica e il governo rendono omaggio al sacrificio dei carabinieri, resta un dovere morale: capire perché è accaduto e come evitare che accada ancora. Perché l’eroismo di quei tre uomini non resti vano, e la pietà diventi anche giustizia e responsabilità», ha fatto notare usando toni fermi e misurati.
«Mentre ieri assistevo in televisione alla cerimonia funebre dei tre carabinieri assassinati a Castel D’Azzano— tre servitori dello Stato caduti in modo assurdo nell’adempimento del proprio dovere — non riuscivo a staccare il pensiero dall’operazione che aveva portato a quella tragedia. Le immagini solenni dei funerali, la compostezza delle famiglie, la partecipazione delle autorità e dei colleghi in uniforme esprimevano un dolore profondo, condiviso da tutto il Paese», ha premesso in un lungo post pubblicato sui suoi social dove ha condiviso i suoi dubbi. «Alla cerimonia erano presenti il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, numerosi ministri, comandi militari e autorità religiose. La loro presenza, pur segnata dalla commozione, non bastava a cancellare le domande che continuavano a pesarmi dentro».
Dopo la doverosa premessa Zanonato è poi andato al dunque prima di arrivare alla conclusione di cui sopra: «Mentre scorrevano le immagini del picchetto d’onore e i tricolori si piegavano al passaggio delle bare, non riuscivo a non pensare alle circostanze in cui quei tre uomini avevano perso la vita. Era davvero inevitabile mobilitare un tale dispiegamento di forze per sgomberare tre individui evidentemente disturbati, ai margini della società, che da giorni minacciavano di farsi saltare in aria con il gas? Da ciò che si è visto, la loro abitazione era poco più che una baracca, e loro stessi apparivano come persone sbalestrate, prive di equilibrio e di ogni contatto con la realtà. Serviva davvero un’operazione di notte, con decine di uomini armati, come per affrontare terroristi o mafiosi?», si chiede Zanonato.
Sul punto è molto chiaro, insiste probabilmente per non essere frainteso: «I tre carabinieri uccisi, va ricordato, non avevano alcuna responsabilità nelle decisioni operative. Hanno obbedito agli ordini, come impone la disciplina, e lo hanno fatto con coraggio e senso del dovere. Ma la domanda resta: chi ha deciso quell’intervento? Non si poteva attendere, isolare la zona, tentare una mediazione, coinvolgere psicologi o negoziatori esperti? Forse non sapremo mai se quella scelta sia stata inevitabile o il frutto di un errore di valutazione, di una catena di comandi troppo rigida. Ma è giusto chiederselo, perché tre vite — quelle dei carabinieri — sono state spezzate inutilmente, e altre tre si sono perdute nella follia e nella disperazione», insiste Zanonato.