VENEZIA – Dopo anni di proteste le contestazioni degli ambientalisti si sono concretizzate in un’indagine penale: il nocciolo dell’inchiesta è il potenziale nocivo dei lavori alla Superstrada Pedemontana Veneta. E si parla ancora una volta di Pfas, le sostanze chimiche che già hanno inquinato le falde acquifere di varie province venete. La Procura di Vicenza ha indagato dodici persone, manager e dirigenti del Consorzio Sis e della Società Pedemontana Veneta Spa, fino ai responsabili tecnici e ai direttori di cantiere. L’accusa è di avere appunto contaminato i terreni e le falde con l’acido appartenente alla “famiglia” dei Pfas. I reati ipotizzati sono “inquinamento ambientale” e “omessa bonifica”. «Sono allibito», è il commento a caldo di Claudio Dogliani, amministratore delegato di Sis. 

APPROFONDIMENTI


  LE TRATTE

Gli accertamenti condotti dalla squadra di polizia giudiziaria dei carabinieri riguardano i lavori per le gallerie naturali di Malo (Vicenza) e di Sant’Urbano, nel territorio di Montecchio Maggiore (Vicenza), dove era stato riscontrato un grave inquinamento delle falde acquifere.
I fatti contestati riguardano i lavori che erano stati svolti tra il 28 giugno 2021 e il 23 gennaio 2024 nei territori di Castelgomberto, Malo e Montecchio Maggiore, sempre in provincia di Vicenza. 
Secondo l’ipotesi accusatoria, gli indagati non avrebbero rispettato le prescrizioni tecniche relative alla composizione del calcestruzzo, impiegando un additivo accelerante, il «Mapequick AF1000», contenente acido perfluorobutanoico (Pfba) in concentrazioni superiori ai valori soglia indicati dall’Istituto Superiore di Sanità. La pm Cristina Carunchio la definisce una contaminazione «significativa» delle acque superficiali e sotterranee, a ridosso delle aree interessate dai lavori. Agli indagati è contestata l’omessa bonifica e il mancato ripristino dei luoghi, nonostante la piena conoscenza dell’inquinamento. L’acido appartiene infatti alla categoria dei composti perfluoroalchilici, i «Pfas», responsabili già in provincia di Vicenza della contaminazione delle falde attorno allo stabilimento Miteni di Trissino. La Regione Veneto, dal canto suo, ha collaborato con la Procura.

«Durante la costruzione della Pedemontana, milioni di metri cubi di rocce contaminate sono stati smaltiti in decine di cave tra Montecchio Maggiore, Malo e Bassano del Grappa», attacca Massimo Follesa, del Covepa (Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa). «Materiali tossici sepolti in aree a diretto contatto con falde e terreni agricoli, in piena emergenza ambientale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pozzi chiusi a Caldogno, inquinamento diffuso a Costabissara, Isola Vicentina, Malo, Dueville. E la minacciasi estende fino ai bacini idrici che servono Vicenza e Padova».
L’esposto da cui nasce l’inchiesta l’hanno firmato proprio gli ambientalisti di Covepa. In allegato ci sono missive con cui Arpav ha avvisato tutti gli organi competenti dell’inquinamento in essere. 

  LA REPLICA

«La Pedemontana è stata costruita correttamente, con materiali certificati», evidenzia Dogliani. «Se ci sono Pfas di certo non dipendono dai lavori. Quanto al prodotto a cui si fa riferimento, è certificato e non contiene Pfas. Quel tipo di accusa è stata smentita mille volte. Faccio presente anche che noi stiamo continuando a depurare l’acqua del Veneto. Ma così gira l’Italia: risponderemo alle accuse».
Quanto agli altri indagati, sicuramente c’è anche Giovanni Salvatore D’agostino, direttore tecnico di Pedemontana Spa. Tutti dovranno fornire all’autorità giudiziaria le spiegazioni per la parte di lavoro che compete il loro ruolo. Agli atti dell’inchiesta c’è tutta la corrispondenza tra Arpav, Provincia di Vicenza, Regione Veneto, Consorzio Sis e Pedemontana Spa.