di Michela Proietti

La scrittrice, 87 anni, racconta il suo nuovo romanzo «La domestica a ore». «Lascio a una domestica il compito di indagare gli amori tossici. Anche il mio non è stato un matrimonio sereno, ma senza mai arrivare alla violenza fisica». Dall’infanzia a Milano ai 12 milioni di copie vendute: il ritratto di una scrittrice amatissima dal pubblico

Una domestica a ore, rintracciabile in molte case borghesi. Sorveglianti silenziose della nostra vita dentro le mura, che spesso è diversa da quella che appare fuori. Isabella Boccadoro – guardarobiera e dama di compagnia – è la protagonista del nuovo romanzo di Sveva Casati Modignani La domestica a ore (Sperling&Kupfer), appena uscito in libreria. Eppure, proprio come dietro alla portinaia raccontata da Muriel Barbery ne L’eleganza del riccio, ha una maschera sociale e una interiorità più complessa, che intreccia solitudini, violenze di genere e amori profondi. La storia che Bice Cairati – in arte Sveva Casati Modignani – ha iniziato a scrivere un anno fa con la stessa Olivetti Valentine rossa, nella stessa villetta milanese dove vive da 87 anni, è figlia dei tempi. Stavolta il rosa della sua narrativa intinge la penna nel nero della cronaca, dove giovani donne incontrano i narcisisti patologici e i principi azzurri si trasformano in aguzzini. «Mi sono chiesta come alcuni comportamenti tipici di un mondo lontano fossero arrivati nelle nostre città verticali ed emancipate: ogni giorno c’è una donna ammazzata ed è solo la punta dell’iceberg. Quelle che denunciano il maschio sopraffattore sono ancora poche».
 
Lei lascia a una domestica a ore il compito di scoprire le carte… 
«È stata la mia domestica Natasha a suggerirmi il titolo. I miei romanzi partono sempre da un titolo. Un giorno mi ha confidato la felicità di vedere sua figlia diventare una truccatrice ben pagata. “Non una domestica come me”, ha aggiunto. L’ho rimproverata per il fatto di non rendersi conto della importanza del suo lavoro, del rispetto che questa casa le riconosce. Come poteva disprezzarsi così tanto? I suoi complessi di inferiorità non le facevano capire quale ruolo importante avesse».

Sveva Casati Modignani in uno scatto di Fabrizio Villa

Isabella Boccadoro si accorge delle violenze che accadono nella famiglia in un cui lavora. Siamo in via Bagutta, la Milano da 20 mila euro al metro quadrato: qui un marito spacca la faccia alla moglie e somministra sonniferi ai bambini perché non si accorgano delle violenze
«Un classico: uomini sulla carta irresistibili, che scelgono con cura la loro vittima. Iniziano con il love bombing, un assedio amoroso che irretisce. L’uomo all’apparenza forte e benevolo, che si prende cura della famiglia, diventa il carnefice e assassino. Di solito sono amanti focosi, anche cinque orgasmi in una mattina: è una questione di dominazione. La padrona della casa dove lavora Isabella viene massacrata di botte durante un amplesso non consenziente, mentre dice al marito “mi fai schifo”. Inaccettabile per il narcisista patologico». 



















































C’è una pagina del libro in cui prova a ricostruire il momento in cui gli uomini sono diventati così fragili e folli. 
«A partire degli anni Settanta, con la liberazione della donna, mai accettata fino in fondo dagli uomini: e adesso più che mai non sono pronti a porsi su un livello di parità perché sanno che la donna è un po’ più intelligente di loro. È stato accertato scientificamente che nelle donne è presente una maggiore interconnesione tra i due emisferi cerebrali, quello associato al pensiero creativo e quello della logica. Le donne sfruttano meglio il cervello». 

Ogni autore si sbarazza dei personaggi quando non sono più funzionali alla trama. Nel suo libro gli uomini neri fanno tutti una brutta fine. 
«Alcuni episodi raccontati nel libro sono accaduti veramente: il calcio che un marito sferra al ventre della sua donna incinta, durante una visita ginecologica, è avvenuto davvero 20 anni fa, in una clinica milanese. Me lo raccontarono ed è rimasto sepolto nella mia memoria. Per poi riaffacciarsi in questo libro. Potevo decidere se perdonarlo o no: l’ho ucciso». 

Ma non fa neppure di tutta l’erba un fascio: ci sono anche uomini che amano le donne. 
«Isabella fin da piccola è poco seguita dai genitori, che la considerano “un errore di navigazione” . Ma scoprirà la meraviglia di sentirsi amata e rispettata da una persona più grande di lei, che profuma di Jo Malone e non di quel “fetore licealino” dei suoi compagni di classe. Lui le consegna le chiavi della dignità, del giusto e del buono. Molte donne oggi non sanno distinguere l’amore dalla violenza: dicono “mi picchia perché mi ama”. Ci sono poi Bruno e Max, una coppia gay amica. Si amano per davvero. E il padre di Isabella, che non fa nulla di male, è solo un padre distratto». 

Ogni scrittore mette pezzi della sua vita in quello che scrive. Quanto c’è di Bice-Sveva nel nuovo romanzo? 
«Io ho avuto un padre molto attento, un mammo, completamente diverso da quello di Isabella. Senza di lui sarei finita nei guai, perché in compenso ho avuto una madre anaffettiva, che non mi ha mai abbracciata né accarezzata una volta nella vita. Le chiedevo: “mamma, ma io sono bella?” e lei mi guardava con il suo sguardo miope, dietro degli occhiali con tanti cerchi, e mi diceva: “povera stella, vorrei tanto dirti che lo sei, ma sei proprio bruttina come il tuo papà”. Se l’ho perdonata? Mai, ma l’ho accudita quando era diventata anziana e bisognosa di aiuto. Noi Cairati non abbiamo il gene della vendetta, siamo buoni». 

Sveva Casati Modignani: «Nel nuovo libro uccido gli uomini violenti. Anche mio marito aveva sbalzi di umore molto forti »

Lei ha assistito anche suo marito, Nullo Cantaroni, compagno di vita e di scrittura, quando si è ammalato di Parkinson. 
«Certo, nonostante i medici mi ripetessero che non potevo tenerlo in casa, in quelle condizioni. Lui mi guardava e mi diceva: “Bice, non mi farai mica questo?”. È morto nel letto di casa sua, accudito fino alla fine. Anche se avrei potuto ignorare questa supplica: non è stato un marito sempre perfetto». 

Non è stato un matrimonio sereno? 
«Mio marito era un uomo con sbalzi di umore molto forti, a tratti violento, pur senza mai arrivare ad alzare le mani, come alcuni protagonisti del libro. Uno di loro, l’avvocato Branduani gli somiglia un po’, affascinante e capace di catturarti. Ci conoscevamo da un mese soltanto e mi telefonò: vieni a Linate con il passaporto, andiamo a Londra a bere un irish coffee. Ovviamente andai di corsa: tornammo indietro la mattina dopo. Non è stato facile, anche se aveva i suoi lati positivi che ci hanno permesso di stimarci e rimanere insieme. E gli sono grata perché quando ho scritto il mio primo e il secondo romanzo lui mi ha fatto da editor, dandomi dei suggerimenti importanti. I grandi amori diventano grandi amicizie. La fase dell’innamoramento è come la scarlattina, dura 40 giorni: poi apprezzi la persona con cui stai. Vedo intorno a me, per fortuna, anche tante coppie vecchie e serene». 

Un eroe maschile positivo della sua vita. 
«Mio figlio Nicola. E poi mio fratello. Avevo dieci anni e vidi mia madre con il pancione, le domandai che cosa le stesse succedendo. Mi rispose: “Ho bevuto l’acqua delle rane”. Poi la sera del 14 dicembre, di tutta fretta, lei e mio padre sono corsi all’ ospedale Regina Elena, lasciandomi nel lettone ad aspettare: al ritorno mio papà si è infilato sotto il lenzuolo e mi ha svegliata. “Bicetta, lo sai che adesso hai un fratellino, la mamma è andata a comprarlo in ospedale. Lo chiameremo Carlo”. E io risposi: “Carluccio, anzi Luccio”. Da quel giorno per tutti è stato Lucio: era un uomo straordinario, con il senso ludico della vita. Quando è mancato cinque anni fa mi è mancata la vita».

 Ha 87 anni e questo è il suo 39 esimo romanzo. Progetti per il futuro? 

«Vorrei scrivere la storia di una barbona, ho già il titolo: ”Chi ha l’ombrello non si bagna”. Sarà ambientato a Milano, come tutti gli altri libri. Uno scrittore parla di quello che conosce: io metto sempre i vini che bevo, i pizzicagnoli di quartiere, i ristoranti e i bar dove di rado vado, come il Gin Rosa e il Baretto».

Spera che in qualche modo il suo libro aiuti donne in trappola a trovare una via di fuga? 
«Mi auguro sempre di essere utile a qualcuno. Magari leggendo queste pagine capiterà che alcune donne rivedano la propria vita. E decidano di cambiarla. Attenzione a chi vi legate: Laura, la datrice di lavoro di Isabella, era la segretaria del suo capo. Lui l’ha scelta come moglie perché per la sua posizione subalterna era la vittima perfetta. Lei cercava un posto da impiegata, invece ha trovato un mostro».
 Avrebbe potuto resistergli?
 «Purtroppo temo di no. Perché i violenti sono estremamente seduttivi». 

Ha venduto 12 milioni di copie, ma Milano non l’ha ancora celebrata con l’Ambrogino. 
«Ma non scrivo per prendere premi. Non ho mai ricevuto una candidatura a premi letterari blasonati, ma sono sincera quando dico che il mio premio è l’affetto dei lettori. Gente comune, donne e uomini, ma anche alti prelati, ministri della Repubblica, imprenditori importanti. Scrivere è la mia passione e anche il mio pane: ho fatto per tanti anni la giornalista da free lance. Oggi non ho una pensione». 

Sveva Casati Modignani: «Nel nuovo libro uccido gli uomini violenti. Anche mio marito aveva sbalzi di umore molto forti »

La Milano di oggi? 
«Non mi piace: è una città a due velocità, quella dei ricchi dei grattacieli e delle spese di condominio astronomiche. Poi quella delle mogli degli operai, che al terzo lunedì del mese sono in fila fuori dalla mensa dei poveri, per portare cibo a casa da mangiare. I miei genitori mi hanno lasciato un mondo bellissimo, quello del boom economico. Era un’Italia prospera, dove le donne cantavano, sentivi arrivare la voce dalle finestre. Oggi le donne non cantano più, devono difendersi dai mariti violenti. Guardo i giovani pieni di rabbia che scendono in piazza per Gaza: hanno dentro un carico di risentimento, perché gli abbiamo lasciato un mondo di merda». 

Lei ha vissuto la sua infanzia durante la guerra. Cosa pensa dei bambini che oggi vivono nella stessa condizione? 
«Sono cresciuta sotto i bombardamenti, ho visto la miseria e ho sentito le voci di gente disperata imprigionata nelle cantine, con il palazzo distrutto e i topi che scappavano ovunque. Queste cose le ho vissute e so di cos’è capace l’odio. Il diavolo non è un fumetto rosso con le corna: esiste ed è il male, l’odio, la guerra». 

Cosa c’è nella sua libreria? 
«Di tutto. Da piccola divoravo I Tre Moschettieri, Le Miniere di Re Salomone e autori come Rafael Sabatini. Poi a 13 anni ho trovato nella biblioteca di mio padre i classici russi e ho iniziato a leggere Maksim Gor’kij, La Madre. Nella mia vita ho letto e riletto più volte Dostoevskij: non erano stati testi abbordabili, ma mi hanno svezzata».

 Come definirebbe il suo tipo di scrittura? 
«Mi ha descritto bene un professore di letteratura: disse che ero un fenomeno anomalo nel panorama letterario italiano. Non ho mai fatto una scuola di scrittura creativa, modificano lo stile personale. Ho studiato a liceo linguistico Manzoni e ho tradotto Tacito, difficilissimo. La mia palestra è stato fare la giornalista, prima di diventare una scrittrice». 

Se i romanzi d’ora in poi li scrivesse l’intelligenza artificiale? 
«Che spavento. Io scrivo ancora con la mia “Valentina”, la Olivetti rossa disegnata da Ettore Sottsass” che è esposta al Moma di New York. Un pezzo da museo».

Sveva Casati Modignani: «Nel nuovo libro uccido gli uomini violenti. Anche mio marito aveva sbalzi di umore molto forti »

 Come è invecchiare? 
«Un obbrobrio. Ti mancano ogni giorno di più le forze per fare quello che desidereresti». 

Anche per scrivere? 
«Non nego che sia una fatica, ma mi diverte molto. Se dovessi non divertirmi più smetterei di farlo». 

Il suo nuovo libro in una battuta. 
«L’ennesima ciofeca della Sveva».

Sveva Casati Modignani: «Nel nuovo libro uccido gli uomini violenti. Anche mio marito aveva sbalzi di umore molto forti »

19 ottobre 2025