A 92 anni è morto a Roma Enrico Lucherini, l’inventore del mestiere che non c’era: il press agent. Lucherini, nato a Roma in una famiglia borghese che lo avrebbe voluto medico, per amore del cinema è stato un geniale bugiardo e amava rivendicarlo: «L’arte della bugia è veramente un’arte. Io ne ho fatto il mio mestiere». Tanto che “lucherinata” è entrata nei vocabolari Treccani come sinonimo di bufala d’autore, creata a fini promozionali. «Si è spento circondato dai familiari e dagli affetti più cari», ha dichiarato Gianluca Pignatelli, suo socio e amico, come riportato dall’agenzia di stampa Adnkronos. Scrive il critico cinematografico Maurizio Porro sul Corriere della Sera: «Inventava le notizie, gli scoop, magari le fake news che si chiamavano solo bufale, faceva allegramente promozione tra la mitologia del nascente divismo anni 50 e il desiderio del pubblico. Il suo lavoro fu un sogno-gioco realizzato, in quegli anni nei quali il nostro cinema e i nostri attori erano i migliori del mondo».
L’origine delle sue trovate va cercata in via Veneto, a Roma: «Mi resi conto che era un mondo facile da esplorare, ci venivano tutti, non esisteva un altro posto così… Ero lì tutti i giorni, passavo da un bar all’altro, una volta sentimmo all’improvviso un gran botto. C’era stato un incidente, due macchine si erano tamponate, corremmo a vedere cosa fosse successo. Sul sedile posteriore c’era Sylva Koscina, accasciata, sconvolta, mi avvicinai, le chiesi: “Chiamo un’ambulanza?” E lei, subito, “Sei matto? Chiama i fotografi”». Koscina, ovviamente, non s’era fatta nulla e la lezione fu illuminante: va bene tutto, purché se ne parli (e Purché se ne parli è il titolo di un libro scritto da Lucherini nel 2012).
La prima “lucherinata” nel 1965: «Luchino Visconti allestiva Il giardino dei ciliegi di Cechov e voleva distinguersi da Giorgio Strehler a ogni costo. Inventai che lui, perfezionista assoluto, aveva fatto venire autentici ciliegi in fiore dal Giappone. Erano di cartapesta ma tutti se la bevvero». La collaborazione con Visconti continuò anche nel Gattopardo. Fu Lucherini l’autore di molte trovate che uscirono sui giornali. Per esempio il fatto che Visconti aveva voluto solo centinaia di candele in cera per le scenografie, che però si scioglievano con il caldo dei proiettori e dunque andavano cambiate ogni mezz’ora: «Falso. Me l’inventai io, per far parlare i giornali. Solo le candele in primo piano erano vere. Le altre erano tutte elettriche». Così come i fiori freschi che arrivavano tutti i giorni da Sanremo: «Erano un’invenzione, ovvio. Fiori belli se ne trovavano anche a Palermo». Per la promozione a Cannes, si procurò un ghepardo: «Appena in città mi accorsi che, accanto all’albergo c’era un circo. Mi procurai un gattopardo, gli facemmo un’iniezione calmante e la Cardinale sfilò sulla spiaggia, elegante e fiera».
Sono tanti i divi che si sono prestati alle sue trovate. «Non ho fatto mai gossip, tranne per Florinda Bolkan. Avevo letto che Liz Taylor era in clinica, feci uscire una foto di quattro mesi prima: Florinda ballava con Richard Burton, il marito della Taylor. Dissi che Liz vedendo quella foto ebbe un malore e fu ricoverata. Io invento per aiutare i film».
L’incontro più importante, quello con Sophia Loren, che è rimasta la sua preferita per tutta la vita: «Il set della Ciociara era a Sora, vicino a Roma, e io facevo in modo che venisse avvicinata dalle paesane locali con i loro bambini: lei li abbracciava, li baciava nelle foto di scena doveva apparire una madre, non una diva». Per quel film pensò la “lucherinata” più famosa, a Cannes il 6 maggio 1961: Carlo Ponti, produttore del film e marito dell’attrice, assunse un centinaio di comparse che dovevano fare ressa fuori dal Palais del festival, sulla Croisette, e simulare un pigia pigia per entrare a festeggiare la diva. Le comparse gridavano: «Sophia, Sophia» e spingevano fino a quando non crollarono le vetrate del Palais. Il giorno dopo i giornali di tutto il mondo non parlavano d’altro. Però la rottura dei vetri in realtà era stata provocata da un colpo assestato dall’interno dallo stesso Lucherini.
Oggi forse certe trovate non sarebbero possibili. Come quando per lanciare Sandra Milo in Vanina Vanini, di Rossellini, fece in modo che le andasse a fuoco la parrucca: «Ma a fin di bene!»: «Tutti erano preoccupati: “Non facciamo una lira, col film, non ne parla nessuno”. Allora ci pensai io. “Questa la incendio!”, pensai. La Milo aveva una parrucca di scena enorme, e pensai: fatela passare accanto a un candelabro, fate in modo che la parrucca prenda fuoco e che proprio Rossellini la salvi. Risultato: la testa della Milo prende fuoco, Laurent Terzieff, l’attore, e Roberto Rossellini, il regista, accorrono in veste di pompieri. La Milo viene quasi “scalpata”, i fili che reggono la parrucca le tirano i capelli veri. Ma appaiono foto magnifiche su tutti i giornali e tutte le riviste. Il film era lanciato”.
Per lanciare Rosanna Schiaffino la fece camminare per via Veneto con un abito rosso fuoco «provvisto di una scollatura sulla schiena che, azionata da un elastico, scendeva fino all’osso sacro. Lei di nascosto tirava l’elastico e i fotografi impazziti riprendevano quel bendiddio che piano piano si scopriva. Il giorno dopo Rosanna era una star». Un’altra volta diffuse le foto di Agostina Belli che in Sepolta viva per esigenze di copione finiva in acqua: le immagini di lei fradicia furono accostate a quelle di un’ambulanza e alla notizia «Ha rischiato la morte»: «Le riviste erano piene di trovate mie».
Una volta confessò di aver sbagliato: «Nel 1987 Gianni Hecht mi offre Un’australiana a Roma, con Massimo Ciavarro e un’attrice nuova, Nicole Kidman». Non gli piacque: «Una scopa coi capelli». Invece: «La ritrovo in Ore 10: calma piatta, che carriera. Forse non sono un grande ufficio stampa».
Bugiardo per amore del cinema e sempre spiritoso, con qualche dubbio: «Ho preso in giro tanta gente… forse qualche volta ho esagerato», disse una volta a Emilia Costantini sul Corriere della Sera. Ma quando gli si chiedeva se avesse mai avuto arrabbiature nella sua carriera, rispondeva: «Ricordo sempre le cose belle, quelle brutte non riescono a venirmi in mente».