Forlì, 18 ottobre 2025 – Se ha fatto arte, non l’ha fatto apposta, Letizia Battaglia, la fotoreporter siciliana scomparsa nel 2022 alla quale è dedicata una vasta mostra che prende il via domani ai Musei San Domenico di Forlì.
Di arte, infatti, lei non voleva parlare a proposito dei suoi scatti, ma solo di “un lavoro, duro, anche spietato”: quello della cronaca. Battaglia incontra la professione già più che trentenne, per il quotidiano palermitano L’Ora, per poi trasferirsi brevemente a Milano, prima di tornare in pianta stabile nella sua città. E lì continuò a immortalare di tutto: “processioni, partite di calcio, feste dei ricchi…”. E, naturalmente, la mafia.
Nella mostra forlivese – curata da Walter Guadagnini e prodotta da ‘Camera’ e dal museo Jeu de Paume di Parigi – che arriva per la prima volta in Italia dopo due tappe in Francia, sono esposte 200 fotografie che, in ordine cronologico, raccontano la carriera di Battaglia, dagli anni Settanta fino alle ultime immagini colte dal suo instancabile obiettivo. C’è tutto: i ritratti ironico-erotici degli inizi, fino alle scene – tragiche – che documentano le vittime della mafia, tra le quali anche Piersanti Mattarella, colto subito dopo l’attentato circondato da una folla di parenti in quella che sembra una mostruosa deposizione contemporanea.
Poi ci sono le lacrime delle madri dolenti, le proteste popolari, le grida, l’ira… Tutto fermato sulla pellicola senza mai indugiare sul pietismo, ma – quello sì – sulla denuncia. Perché, come sottolinea il curatore Guadagnini: “Battaglia non si limita a documentare, ma fa un lavoro di continua denuncia verso un sistema mafioso che, come dimostrano anche i fatti di strettissima attualità, pur avendo cambiato faccia non è ancora debellato”.
Ma Battaglia, più ancora di quella di artista, detestava un’altra definizione, che è poi quella che, per un gioco ironico della sorte, le è rimasta incollata addosso: ‘fotografa della mafia’. Un’espressione nella quale lei leggeva sottinteso un rapporto di collaborazione che, invece, rifuggiva, anche nella metafora. “Battaglia, infatti – rimarca Guadagnini – non cercava la morte, ma la vita: era la morte a cercare lei”. Ma di vita, nonostante tutto, ne ha incontrata tanta, e la si vede negli scatti successivi, quasi tutti nella sua Palermo (ma una delle sezioni conclusive, non meno interessante, è dedicata anche ai periodi trascorsi fuori dall’Italia): i suoi bianco e nero vividi, dalla costruzione scenografica perfetta, infatti, sono ricolmi anche di una vita inarrestabile, prorompente, ma sempre carica di inquietudine.
Ci sono, ad esempio, le tante bambine, quelle delle quali Battaglia aveva detto: “in loro ricerco me stessa”. Tra le molte, anche la più celebre, quella dai profondissimi occhi neri e le sopracciglia aggrottate, con un pallone in mano: da un lato le tante promesse della giovinezza, dall’altro la consapevolezza che molte di esse non saranno mantenute. Poi ci sono le feste religiose, cariche di un tripudio sovrabbondante, grotteschi e impudichi baci e ragazzini che, con i lineamenti schiacciati da una calza di nylon, impugnano dei mitra e scimmiottano una guerra che, probabilmente, per loro, presto non sarà più un gioco. Una carrellata di immagini serrate e potenti, capaci di raccontare la complessità, l’orrore e la meraviglia, attraverso gli occhi sinceri di una grande fotoreporter.