di
Giuliana Ubbiali
Già a settembre 2024 la 29enne andò in ospedale dopo essere stata picchiata da Gianluca Soncin, ma il codice rosso non scattò. Il procuratore di Ravenna: «Era essenziale che denunciasse». E ora anche Bergamo si muove
«Se mia sorella poteva essere salvata? Da quello che ho letto sì. Queste sono cose gravi». Nicola Genini è il fratello di Pamela, uccisa a 29 anni. Va di fretta, ripete che «quello che sappiamo lo leggiamo sui giornali». Compreso il fatto che sua sorella, già il 3 settembre 2024, venne aggredita da Gianluca Soncin, a Cervia. Che il giorno dopo andò in ospedale a Seriate, dove raccontò le botte e fece il nome del compagno, ma la relazione trasmessa dai carabinieri di Seriate ai colleghi di Cervia, intervenuti la sera prima, non arrivò a nessuna delle due Procure e nessun fascicolo fu aperto. Pamela non denunciò e non fu attivato il codice rosso, nonostante la descrizione dettagliata nel referto: «Buttata a terra e colpita alla testa con pugni, trascinata per i capelli per diversi metri». Raccontò che Soncin le lanciò oggetti che provocarono la frattura di un dito della mano destra, aveva anche «plurimi» graffi alle gambe. «Era da denunciare, se non l’ha fatto mia sorella dovevano farlo loro — sbotta il fratello —. Doveva essere applicata la procedura antiviolenza e non è stato fatto. Non posso sapere come sia andata, lo apprendo dalla stampa, stanno facendo accertamenti».
Con una donna ammazzata un anno dopo dallo stesso uomo che la aggredì, il procuratore di Bergamo Maurizio Romanelli vuole vederci chiaro. Non si esclude l’apertura di un fascicolo a modello 45 — atti non costituenti notizia di reato —, più per valutare se disporre nuove procedure che per profili di reato. Lo scenario emerso in ospedale è lo snodo cruciale. I carabinieri di Seriate arrivano, parlano con la ragazza, inviano ai colleghi di Cervia un’annotazione aggiornandoli sul dito rotto, sugli episodi precedenti e sulle armi e i coltelli in casa di Soncin. Informazioni date da Pamela e rimaste nel carteggio tra i carabinieri. Cosa è stato fatto e come? Si poteva fare altro? E da chi?
«Mi sono chiesto che cosa avrebbero potuto fare di più i carabinieri, ma faccio fatica a dire che hanno sbagliato». Il procuratore di Ravenna, Daniele Barberini, esclude omissioni. Quella del 3 settembre, a Cervia, fu una «lite senza risvolti penali. La casa era in ordine, non c’erano evidenze di lesioni, la signora non volle andare in ospedale e non denunciò. Non era un codice rosso, non era necessario avvertire il pm». Dopo l’accesso in ospedale «i carabinieri di Cervia ricevettero una segnalazione per la verifica delle armi». Furono informati anche delle aggressioni: «Era essenziale sentire la persona offesa. Lo dissero ai colleghi di Seriate, ma la signora non si presentò. Mancavano i presupposti per ipotizzare i maltrattamenti (procedibili d’ufficio, ndr), perché lei e il fidanzato non erano conviventi. Se anche avessimo aperto un fascicolo per stalking e lesioni, senza querela l’avremmo archiviato». Al pronto soccorso, Pamela rispose a un questionario per valutare il rischio delle violenze: 4 «sì» su 5 domande, ne bastano 3 perché scatti la protezione. Cinzia Mancadori, responsabile dei centri antiviolenza della coop Sirio, di Treviglio, spiega cos’è: «Alla donna vengono offerte informazioni e possibilità di rifugio, anche in ospedale. Spetta a lei decidere».
«È una vergogna. Ho visto il questionario compilato da Pamela. Il sistema non funziona». Elisa Bartolotti, l’amica con cui Pamela aveva creato un brand di bikini, è stata convocata in questura per deporre. «Non c’è tutela per le donne, né protezione per le persone vicine». Pamela si sarebbe potuta salvare? «Non lo so. Dovrei vedere un caso in cui la procedura ha funzionato, ma non ne ho trovati».
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19 ottobre 2025 ( modifica il 19 ottobre 2025 | 17:39)
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