Roma, 19 ottobre 2025 – È il giorno de ‘Il Falsario’ alla Festa del Cinema di Roma. Il film diretto da Stefano Lodovichi e scritto da Sandro Petraglia con la collaborazione di Lorenzo Bagnatori, che vedremo su Netflix dal 23 gennaio 2026, ispirato alla storia vera di Toni Chichiarelli, falsario e criminale legato alla banda della Magliana la cui storia si intreccerà anche con quella del rapimento Moro. Di sua fattura il (falso) comunicato numero 7 delle Brigate Rosse dove si annunciava l’esecuzione del Presidente e che il suo corpo sarebbe stato ritrovato nei fondali del Lago della Duchessa, al confine tra Lazio e Abruzzo.
«Questo film nasce più di 10 anni fa da un’idea di Riccardo Tozzi, il produttore, che era rimasto affascinato da un libro sulla storia di questo falsario di Stato. Da lì sono passati tanti altri anni, il progetto ha seguito forme differenti fino a quando, tre anni e mezzo fa, mi hanno chiamato per provare a trovare una chiave diversa dal solito per raccontare gli anni Settanta», spiega il regista. «Mi sono documentato perché, essendo nato nel 1983, non ho vissuto quegli anni e ho dovuto in qualche modo reinterpretarli. L’ho fatto attraverso lo studio e quello che è stato il cinema di quell’epoca cercando di trovare qualcosa che mi affascinava, soprattutto nel personaggio di Toni».
Una figura, come viene mostrato ne ‘Il Falsario’, che diventerà centrale nei misteri più fitti del nostro Paese. «È molto ambiguo e non ci sono tante documentazioni che lo raccontino, specie relative alla sua vita privata. È un personaggio trasversale del dietro le quinte della grande Storia. Tocca un po’ tutto, dal mondo dei fascisti ai brigatisti passando per i servizi segreti e il rapimento Moro. Ha messo il piede ovunque senza mai troppo apparire. Questa cosa lo rendeva un personaggio più grande della vita, affascinante, intrigante», sottolinea Lodovichi. «Ma, allo stesso tempo, è un personaggio vicino alla nostra epoca perché penso sia uno di quei giovani che non prende una posizione precisa nei confronti della storia e della politica. E in quel periodo non potevi non prendere una posizione politica netta. Toni lo fa. È un giovane che vive con superficialità la prima parte della sua vita fino a che, a un certo punto, la storia piccola della sua esistenza e quella grande del nostro Paese si incontrano».
A prestare il volto a questo personaggio “bigger than life” Pietro Castellitto che riflette sul differente approccio alla politica tra chi è cresciuto negli anni Settanta e chi, invece, appartiene alla sua generazione. «Quelli erano anni, non soltanto in Italia, dove la possibilità di cambiare la storia era più autentica e forte. Ho sempre avuto la sensazione che la mia generazione si percepisse come dentro un libro di storia a metà, per cui anche le pagine davanti erano già scritte», spiega l’attore. «Invece quella degli anni Settanta le pagine davanti ce le aveva bianche e voleva scriverle. Questo inevitabilmente generava un ambiente più feroce e anche più pericoloso come sono stati quegli anni. Oggi da quel punto di vista lì forse siamo tutti un po’ più rassegnati nel mondo». «Sono d’accordo con Pietro. Ma penso che per le generazioni più giovani si possa parlare anche di un disinteresse figlio di tantissime concause – educative, scolastiche, genitoriali – e di una mancanza di passioni nei ragazzi. E questo porta al non fare», gli fa eco Lodovichi.
«Mentre essere parte del nostro mondo non può che essere un qualcosa di attivo. Fare politica è questo: essere parte di un sistema in modo attivo, non per forza schierarsi con un partito o con l’altro. La cosa che più fa male di oggi dal mio punto di vista è proprio vedere un’assenza di fare. È vero che in molti sono scelti in piazza per Gaza, un tema importantissimo. Ma quando si parla della politica nazionale, delle problematiche familiari, dell’educazione, della disabilità e di miliardi di cause nostre, non mi sembra ci sia tutto questo interesse».
Nel film Castellitto incarna il temperamento artistico di Toni quanto la sua leggerezza morale che lo porta a frequentare ogni ambiente. «Non sapevo nulla di lui. Me ne parlò cinque anni fa Riccardo Tozzi per la prima volta. Quella che pensavo sarebbe stata una semplice call di lavoro, si trasformò in una lezione di geopolitica», ricorda l’attore». «Perché parlando di Toni, mi parlò anche dell’ambiente in cui operava e del Paese in cui quell’ambiente poteva generarsi come dentro una matriosca di racconti. Il film che abbiamo fatto credo sia anche questo. Attraverso Toni lentamente si racconta anche la grande Storia, che a volte lo sfiora e a volte, invece, lo prende in pieno».