Nella nuova pellicola del regista di “Ovosodo” Mastandrea interpreta un uomo solitario imbarbarito dal dolore e dalla solitudine. Che a un certo punto riesce a ritrovarsi grazie all’incontro scontro con dei giovani

La Festa del Cinema di Roma, nel terzo giorno della sua 20esima edizione, è protetta dal Dio del Cinema, quello che ci ha regalato i secondi preziosi di due film che definiscono questa giornata e che faranno tanto parlare di sé alla loro uscita cinematografica: 40 secondi di Vincenzo Alfieri, presentato nel concorso Progressive Cinema e Cinque secondi del maestro Paolo Virzì in Grand Public e in sala con Vision dal 30 ottobre.

Emoziona, commuove Virzì, come forse non faceva da La Pazza Gioia, perché Cinque secondi racconta un uomo scontroso, interpretato da Valerio Mastandrea, che vive in solitaria in una villa in rovina, e sembra aver rinunciato a qualsiasi possibilità di contatto con l’altro, come in penitenza. Virzì lo segue nell’incontro e quasi scontro con un gruppo di ragazzi riuniti in quella che un tempo sarebbe stata definita una comune, decisi a coltivare il terreno, riabilitarlo, ben capitanati dalla contessina Matilde (Galatea Bellugi), proprietaria in passato di quei luoghi. Aiutandosi con il lento avanzare delle stagioni, Virzì svela a poco a poco l’origine del dolore, del malessere di Adriano, questo il suo nome.  La convivenza con questi ragazzi, con Matilde, lo ritroverà, come era stato un tempo, figura paterna, accudente, quando la giovane, incinta, gli chiederà aiuto. “Sicuramente per me è un film dolorosissimo – dichiara Virzì in apertura di conferenza stampa – però mi fa piacere che si veda uno spiraglio di fiducia verso la possibilità di riparare, dopo il percorso dentro il lutto e il dolore. Il presupposto di questa storia era di partire dal buio dall’abisso di una persona e di capire cosa può succedere nel suo animo. Scoprire che ci sono dei dilemmi, uno sguardo severo verso se stessi, e che questa discussione può riguardare certe tematiche, cosa vuol dire essere padre, generare dei figli, cos’è una famiglia, come riformulare questo concetto”.

Fondamentale per Paolo Virzì portare in scena questa storia con un volto familiare, quello di Valerio Mastandrea, già compagno di cinque film: “Mi affascinavano i temi che questa storia poteva toccare, mi sembrava una sfida eccitante il modo di raccontarla, tenendo nascoste le carte della vicenda e rivelandole con gradualità e farle immaginare dallo spettatore. Avevo in mente un’illustrazione che poteva essere di una natura non invitante, non certo la Toscana da cartolina a cui siamo abituati e poi avevo in mente il volto di Valerio fin dall’inizio. Per la prima volta ho visto Valerio dopo un ciak che continuava a tremare per l’emozione e devo dire che piangevano tutti sul set, si sono commossi tutti”.

Conferma che Cinque secondi è stato un film dall’approccio diverso dai precedenti, Valerio Mastandrea, confessando: “Forse questo personaggio è l’unico in cui c’è più roba di me che quella che mi cucio addosso ma è una roba profonda e non so manco di che sto parlando, so solo che in certe scene sono stato travolto, non ho dovuto lavorare con la testa come faccio di solito, perché anche se sembro un attore di pancia, non lo sono”. Cinque Secondi è storia di fallimento e rinascita, di accudimento che porta “forse” a ricostruirsi un po’, è storia di padri, visti con uno sguardo diverso dai precedenti nel cinema di Virzì: “Ho raccontato una galleria di padri manipolatori, disfunzionali, sconcertanti, questa volta ho voluto guardare con un po’ più di tenerezza verso la paternità. Non c’è una celebrazione del padre ma una riflessione. Io sono aperto alla possibilità che ci possano essere tanti modi di essere genitori, e quindi forse diciamo un padre può servire, a volte fa danno, a volte può fare del bene”.

Dalle lacrime emotive e le riflessioni di Cinque Secondi si passa ad un fatto di cronaca dal cui pensiero non ci siamo mai veramente liberati e che Vincenzo Alfieri trova la chiave per raccontare. Quello di Willy Monteiro Duarte, ucciso durante un pestaggio il 6 settembre 2020 a Colleferro nel tentativo di difendere un amico in difficoltà. 40 secondi è il tempo in cui Willy ha perso la vita ed era, forse, sulla carta, impossibile narrare la sua storia senza il rischio di essere retorici, di issarlo quasi a supereroe quando il suo è stato un gesto di solidarietà di aiuto, di cura, umanità, che tutti dovremmo fare.

Vincenzo Alfieri ci racconta le ore precedenti all’avvenimento cuore del suo film, prova a indagare chi sono e chi erano i protagonisti della vicenda, con una snella narrazione divisa per capitoli. Scrive nelle note di regia: “Quando mi è stato proposto di scrivere un film sulla sua morte, inizialmente ero reticente. Non capivo cosa mi potesse spingere, quale sarebbe stato il mio punto di vista. In qualche modo sembrava essere una storia quasi troppo semplice per il grande schermo, una storia di cui le persone sapevano già tutto. E non potevo essere più in errore. Quando ho letto il libro di Federica Angeli ho avuto un’epifania, subito nelle prime pagine, la scrittrice si pone un interrogativo: Willy e i suoi assassini come avranno cominciato la giornata che li ha portati alla loro fine? Avranno fatto colazione, abbracciato le loro famiglie, saranno andati al lavoro e adempiuto alla loro solita routine? Perché questa storia parla soprattutto di ragazzi qualunque. Non è una storia criminale, ma di dolore. Una storia di persone come tutti noi”.

Alfieri, con il supporto di Francesco Di Leva nel ruolo di un carabiniere e uomo di giustizia approccia al film con lo sguardo di un padre e con quel tipo di consapevolezza: “Il film è multigenerazionale – dichiara – l’ho concepito pensando sia agli adolescenti che ai loro genitori, creando un po’ degli archetipi, ci siamo ispirati alla storia vera per addossare ai personaggi del film un mondo. L’ho approcciato da neo papà e mi sono chiesto, io da padre, cosa avrei consigliato a mio figlio: mantieni l’indifferenza così a farsi male sarà qualcun altro o intervieni e magari vai incontro alla tua, di morte. È una domanda che non ha veramente risposta”. 40 secondi uscirà al cinema il 19 novembre con Eagle Pictures ma gli studenti delle scuole superiori potranno vederlo due giorni prima. Una cosa simile Eagle l’aveva fatta con Il ragazzo dai pantaloni rosa, successo di botteghino proprio dopo il suo passaggio ad Alice nella Città l’anno scorso.

Lo ricorda il produttore Roberto Proia: “Il ragazzo dai pantaloni rosa ha creato uno spartiacque e ricordato che un successo di botteghino ti permette contemporaneamente di fare del bene. Questo è il potere del cinema. Il libro 40 secondi lo avevamo in cantiere da tempo ma non avevamo idea di come metterlo in sceneggiatura. Vincenzo Alfieri e Giuseppe Stasi ci hanno presentato una sceneggiatura meravigliosa, l’unico modo possibile di mettere in scena quella vicenda”. “Le scuole sono fondamentali – prosegue Proia – perché se questo film lo abbiamo fatto per adulti e ragazzi, se non intercettiamo il gusto di questi ultimi, abbiamo fallito”.