Bruno, cinquantenne divorziato e padre single, ha costruito la propria esistenza su una seria programmazione e sul controllo ossessivo dei suoi impegni. Lavora come consulente finanziario per una società che ha aperto con un amico, un impiego per il quale ha dovuto rinunciare al sogno di diventare calciatore professionista. Vive in un lussuoso appartamento con la figlia adolescente Emma, sedicenne dal carattere inquieto e ribelle che gli rende l’esistenza quanto mai imprevedibile. La sua vita sentimentale si risolve in alcuni weekend clandestini con Camilla, che però vorrebbe qualcosa di più serio.
In 30 notti con il mio ex il precario equilibrio viene sconvolto quando il padre si ritrova ad accogliere in casa per appunto trenta notti Terry, l’ex moglie appena uscita da un lungo percorso di recupero emotivo in un istituto psichiatrico. La donna soffre di disturbi mentali che l’hanno portata a sentire delle voci e a perdere progressivamente il contatto con la realtà, fino al ricovero di due anni prima. Ora gli psichiatri ritengono che sia pronta per il reinserimento graduale nella società, e il primo passo di questo processo è proprio la convivenza temporanea con la famiglia. Per un mese che sarà per Bruno a dir poco particolare…
30 notti con il mio ex o forse più
Come spesso capita nel mondo della commedia italiana pensata per il grande schermo ci troviamo davanti ad un remake, in quest’occasione del film argentino 30 noches con mi ex (2022) di Adrián Suar. Non è questo il caso di aprire un discorso sulla mancanza di originalità da parte delle produzioni nostrane, che preferiscono puntare su formule collaudate sapendo bene o male di intercettare i gusti di un target ormai consolidato, ma è in ogni caso l’ennesimo segnale del poco coraggio presente nel cinema tricolore degli ultimi anni.
L’intenzione dichiarata è quella di affrontare con leggerezza e delicatezza il tema della salute mentale, argomento finalmente uscito dai tabù e di cui la società contemporanea discute con sempre maggiore consapevolezza. Il regista Guido Chiesa e la co-sceneggiatrice Nicoletta Micheli intendono raccontare una storia d’amore tra due persone che si vogliono bene, e forse si amano ancora, ma che non riescono a stare insieme, con il disturbo psichiatrico che diventa elemento potenzialmente ostacolante. La storia si propone come una parabola di ascolto e comprensione reciproca – significativo il passaggio in cui i due si “scambiano i ruoli” per un breve periodo – invitando lo spettatore a mettersi nei panni dell’altro, anziché aspettarsi che sia sempre il “malato” a doversi adeguare alla normalità.
Spunti e risultati
Una narrazione sulla carta ambiziosa e pronta a toccare tematiche importanti, che meritano di essere trattate con rispetto e sensibilità. Il problema è che 30 notti con il mio ex non sempre trova il giusto equilibrio, risultando un’opera sbilanciata che non sa bene cosa vuole essere e adoperando diverse forzature per far tornare tutto in ottica dello scontato lieto fine. Si vorrebbero bilanciare momenti più drammatici ed esistenziali con gag leggere e situazioni da commedia degli equivoci, con un risultato poco coeso. Si passa dalla risata alla riflessione più seria senza un approccio armonioso, con cambi di registro repentini che strappano dal climax di soli pochi istanti prima.
Edoardo Leo, attore versatile e spesso affidabile, fa del suo meglio per rendere credibile Bruno, cercando la giusta misura tra l’ansia patologica del personaggio e la sua fondamentale bontà d’animo, evitando la caricatura e restituendo i problemi di un uomo reale con le sue fragilità e le sue contraddizioni. Micaela Ramazzotti, nei panni di Terry, offre una performance più problematica e ipoteticamente divisiva, optando per un approccio a tratti sopra le righe, sfiorando almeno in una manciata di passaggi l’esagerazione. La sua Terry è esuberante fino all’eccesso, con una gestualità e una mimica facciale enfatizzate che rischiano di trasformare il personaggio in un’involontaria macchietta. Niente da eccepire invece sull’interpretazione della giovane Gloria Harvey, figlia adolescente che si avvicina al ruolo col giusto piglio.
Tra il dire e il fare
La messa in scena, come di sovente capita in titoli di questo tipo, è di matrice televisiva, con inquadrature convenzionali e una gestione degli spazi domestici che non trova mai angolazioni interessanti o composizioni memorabili, limitandosi a replicare quel senso di familiarità che tanto sembra piacere a gran parte degli spettatori italiani.
30 notti con il mio ex – un titolo da vivisezionare più nella sua accezione neutra e a seconda dei punti di vista – si rivela un’operazione ben strutturata ma senza particolare originalità, costruita a tavolino secondo ricette consolidate ma che non trova mai quella scintilla in grado di trasformarlo in qualcosa di più di un onesto intrattenimento, pur impegnato, che si vede in fretta e si dimentica altrettanto rapidamente.
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