di
Greta Privitera

Tornano le barelle e la paura che la guerra ricominci. Il reporter Hijjeh: in mezzo ci siamo sempre noi civili

DALLA NOSTRA INVIATA
RAMALLAH – Il rumore delle bombe che tornano a cadere su Rafah arriva fino al campo profughi di Al Mawasi. Sarah Nasser riconosce all’istante quel suono sordo che squarcia il cielo. Smette di lavare i panni e corre alla tenda. «È tornata la guerra?», chiedono i bambini. «Da ieri bombardando dappertutto. Non posso pensare di rivivere l’inferno», commenta la donna che è di Khan Younis.

L’Esercito israeliano l’ha chiamata un’«ondata di attacchi a sud di Gaza». L’aeronautica militare ha lanciato oltre cento raid su decine di obiettivi, e assassinii mirati con droni. Bombe a Khan Younis, Nuseirat e Zawaida. «Dicono che lo fanno perché Hamas ha violato il cessate il fuoco e ha ucciso due soldati israeliani. I miliziani smentiscono tutto. Ma come sempre, in mezzo ci siamo noi. Nessuno ha mai creduto a questa tregua, ma siamo scioccati da quanto poco sia durata», commenta Soliman Hijjeh, giornalista. «Oggi hanno eliminato un altro collega, oltre duecento reporter sono morti in questo conflitto», dice.



















































Sangue e sacchi bianchi

Riappaiono i video con le barelle che sfrecciano e i bambini che sanguinano. I corpi distesi in sacchi bianchi, gli arti carbonizzati, i genitori che piangono. Dieci giorni senza bombe non sono niente. È riscoppiato il panico tra la popolazione. Sami Abu Omar era a qualche centinaio di metri dal raid di Zawaida: «Credevo che ci volessero cacciare dalla nostra terra, ma ora penso che ci vogliano sterminare. Ci tengono chiusi in questa gabbia di macerie mentre sganciano missili: che colpe abbiamo noi?». Nella Striscia, ancora di più delle bombe, fanno paura i valichi chiusi e gli aiuti che non entrano. Rafah, al confine con l’Egitto, avrebbe dovuto aprire oggi. La paura che Israele sospenda le consegne umanitarie fa correre le persone ai mercati. «Non abbiamo avuto abbastanza tempo per dimenticare gli effetti delle bancarelle vuote. Qui temiamo di tornare ad avere fame. Per troppi mesi ci siamo potuti permettere solo un pasto al giorno, per cui, chi può, fa scorte di prodotti in scatola e farina, che oggi hanno costi più accessibili», continua Sami. Raccontano che nei periodi più neri, alcune madri mettevano a letto i figli legando alla pancia un sasso perché non sentissero gli spasmi dello stomaco vuoto.

I bambini

A Gaza parlano tutti dei bambini. Sono appena tornati a giocare in spiaggia, a mangiare cioccolatini, a pensare alla scuola, a dormire la notte. Chi glielo dice che forse è già finita? Qualcuno è un po’ più positivo. «Il cessate il fuoco andrà avanti, succederà come in Libano: ogni tanto bombarderanno nell’impunità più totale. Poi stanno per arrivare in Israele Steve Witkoff, Jared Kushner e il vicepresidente americano JD Vance: Benjamin Netanyahu non può fare sfigurare Donald Trump», scrive Soliman. Il presidente americano manda i pezzi da novanta e fa pressione su Israele per difendere la fragile, fragilissima tregua che già inizia a mostrare tutti i limiti della sua vaghezza. 

Le speranze

C’è un detto palestinese che dice: «Quando stai annegando ti devi aggrappare anche a un rametto». Chi annega è la gente di Gaza e il rametto è il presidente degli Stati Uniti. «Non avrei mai pensato di sperare in quel personaggio», sorride Sami. L’esercito israeliano fa sapere che negli attacchi ha ucciso dei miliziani. Soliman ricorda che i numeri sono «estremamente sproporzionati: in questi raid muoiono soprattutto i civili. Ieri, hanno colpito una caffetteria sulla costa di Zawaida e sei persone hanno perso la vita, trenta in totale (secondo il ministero di Hamas, ndr)».

Tutto sarebbe iniziato dagli scontri a Rafah tra le Brigate al Qassam e Yasser Abu Shabab, l’uomo che viene chiamato il Pablo Escobar della Striscia. Il giovane «bandito» è accusato di traffici illegali e di aver collaborato con Israele. Soliman scrive da Gaza City: «Noi abbiamo solo nemici qui. Il primo è l’esercito israeliano che ci bombarda. Ma di certo non sosteniamo quel criminale di Shabab o Hamas. Non c’è via di uscita per il nostro popolo». Mohammed Amerin, chef e proprietario di una pizzeria, è tormentato da domande più pratiche: «Siamo appena tornati a Nord, non posso pensare all’ennesimo trasloco, è troppo per me e i miei figli».

Tom Fletcher, responsabile umanitario delle Nazioni Unite, sabato è entrato nella Striscia e ha raccontato la portata della distruzione, delle perdite e la resilienza negli occhi degli uomini e delle donne palestinesi. Ha detto: «Niente ti prepara a Gaza».

19 ottobre 2025 ( modifica il 19 ottobre 2025 | 23:30)