di
Fulvio Fiano, Rinaldo Frignani

Secondo gli inquirenti l’intimidazione arriverebbe da «un soggetto ignoto che si affida a manovalanza locale, al sottobosco della criminalità»

L’ordigno fatto esplodere giovedì notte sotto l’auto di Sigfrido Ranucci a Pomezia potrebbe avere dei punti di contatto con i due proiettili di una P38 rinvenuti un anno fa davanti all’abitazione del giornalista. Le similitudini tra le due vicende sono più di una.

Intanto, il luogo del ritrovamento dei proiettili è lo stesso di quello dove è stato collocato il «bombone» fabbricato con un chilo di polvere pirica. Una siepe a pochi passi dall’ingresso dell’abitazione di viale Po dove viene parcheggiata l’auto di Ranucci. È solo uno degli accessi al villino, come ha spiegato il conduttore di Report, e non è inquadrato da nessuna telecamera. Chi lasciò quei due proiettili potrebbe aver quindi sfruttato questa pregressa conoscenza del luogo anche per piazzare l’esplosivo e accenderne la miccia indisturbato. La seconda similitudine, sulla quale si è soffermato anche Ranucci nel suo colloquio con il pm Carlo Villani e il procuratore capo Francesco Lo Voi, è che, come giovedì, anche allora il giornalista tornava a casa dopo un periodo di assenza. Una conferma del fatto che sia stato monitorato nei suoi spostamenti da parte di chi sta provando a intimorirlo. I due proiettili, inoltre, vennero collocati con una «cura» che non passò inosservata agli uomini della scorta. Lasciati a vista, ma per uno sguardo distratto. Nascosti, ma non troppo. Quasi che chi li ha collocati lì sapesse che sarebbero stati ritrovati da un occhio attento come quello degli agenti che proteggono Ranucci. Un dettaglio che, insieme agli altri elementi elencati, tiene aperta l’ipotesi che dietro il confezionamento artigianale della bomba si nasconda in realtà il pensiero di una mente più sofisticata e che, in mancanza di rivendicazioni, ci possa essere una sorta di escalation.



















































Da questo discende il ragionamento investigativo sul «mandante» dell’attentato, tenendo ferma la pista che ad oggi è quella più credibile, ossia la minaccia su commissione. Un soggetto ignoto che si affida a manovalanza locale, al sottobosco della criminalità dove si intrecciano estrema destra, ultrà e bande albanesi per recapitare il proprio messaggio. In questo senso, più che a una grossa organizzazione malavitosa, che non avrebbe avuto bisogno di un «service» esterno, col rischio ulteriore di mettersi in mani inesperte, il tentativo di intimidazione potrebbe arrivare da qualcuno che ha agito «a titolo personale», ossia per interessi strettamente privati, muovendosi autonomamente. Un imprenditore coinvolto in appalti poco limpidi, un faccendiere che teme di perdere una commessa, una figura a cavallo tra la sua veste ufficiale e un volto nascosto.

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A far ipotizzare un legame ulteriore tra questi scenari (anche Ranucci ha parlato ai pm di 4-5 piste che riconducono a uno stesso ambito) c’è stata infine la coincidenza del trasferimento di un pentito di mafia da una località protetta ad un’altra nella stessa giornata dell’attentato. L’uomo è stato una fonte di Report sia sulla «trattativa Stato-mafia» (i proiettili vennero recapitati nei giorni in cui usciva il libro di Ranucci sull’argomento), sia sugli affari illeciti che ruotano attorno all’eolico, uno dei temi della nuova stagione di Report, e uno degli approfondimenti dei carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati ha riguardato proprio questa coincidenza temporale. Riscontri al momento non ce ne sono, ma insieme a queste verifiche ad ampio raggio continuano anche le indagini sul campo. I militari hanno acquisito ieri i filmati di altre telecamere per ricostruire il percorso di un’auto sospetta e dell’uomo incappucciato visto da alcuni testimoni aggirarsi davanti al villino.
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19 ottobre 2025 ( modifica il 19 ottobre 2025 | 12:42)