Occhiali con lenti arancio, foulard al collo, camicia a maniche corte che lascia nude le braccia ricoperte di tatuaggi. E poi orecchini, collane, anelli. Un Daniel Day-Lewis magnetico stringe la mano al ristretto numero di giornalisti presenti per intervistarlo ripetendo il nome di ognuno. L’attore, insieme al figlio e regista Ronan, ha presentato ad Alice nella Città, in collaborazione con la Festa del Cinema, “Anemone”, dal 6 novembre in sala. Un ritorno sulle scene a otto anni dal suo ritiro. La storia di due fratelli, a lungo estranei, che si ritrovano nella natura selvaggia a causa di una crisi familiare, riaccendendo vecchi rancori e rivelando segreti sepolti. È anche co-sceneggiatore.
Perché avete scelto di partire dai Troubles irlandesi?
«Ho passato molto tempo a Belfast al culmine del conflitto. E ho sempre vissuto nella zona cattolica della città. Nel film è stato intrigante provare a guardarlo dal punto di vista di un giovane soldato britannico. Quando arrivò l’esercito inglese, fu accolto dalla comunità cattolica perché vennero come pacieri. C’erano donne per le strade che preparavano panini e tazze di tè per questi giovani ragazzi della classe operaia in uniforme. Ma presto è diventato molto diverso».
Cosa ricorda?
«Ho avuto amici di entrambe le fazioni perché sono cresciuto con un piede in entrambi i mondi. Mio padre era un nazionalista irlandese, e lo sono anche io. Senza mai condonare gli orribili mezzi con cui ogni parte ha cercato di raggiungere i propri fini in quel conflitto. È stato orribile e molte persone sono state uccise o distrutte psicologicamente. Compresi i giovani soldati che stavano facendo il loro lavoro. E quindi, chi siamo noi per giudicarli?».
Perché ha deciso di tornare a recitare e cosa l’ha spinta a ritirarsi?
«Ho sempre avuto difficoltà con gli aspetti pubblici del lavoro in virtù del quale inviti le persone a prestarti attenzione. Ma non c’è un interruttore che puoi spegnere. Ti segue nel quotidiano e non ho mai imparato ad affrontarlo. Però ero triste all’idea di non poter lavorare con Ronan. Così abbiamo scritto il film “Anemone”».
Al centro del film anche il rapporto padre/figlio. Il suo, il poeta Cecil Day-Lewis, come l’ha influenzata?
«È rimasto un mistero per me.
Era assorbito dal suo lavoro. Non ricordo conversazioni con lui tranne quando mi mettevo nei guai. Capitava spesso. Forse perché pensavo fosse l’unico modo di parlargli».
Ultimo aggiornamento: lunedì 20 ottobre 2025, 05:00
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