Ci sono scelte silenziose che non fanno rumore, ma cambiano il tempo e lo spazio in cui viviamo. La restanza è una di queste: non immobilità, ma consapevolezza; non nostalgia, ma cura e resistenza. In un’epoca in cui partire sembra la regola, restare diventa un gesto rivoluzionario, un atto di fedeltà verso la terra e le comunità. La Restanza: dedizione alla propria terra. Storie di gente che resta fra Toscana ed Emilia (Lef, 2025) è di fatto un viaggio fotografico nell’appennino tosco-emiliano, tra borghi sospesi e volti che raccontano storie di coraggio e appartenenza. Pagine in cui il paesaggio parla e le tradizioni si intrecciano con nuove forme di vita e speranza.

L’autore del libro, Francesco Tomè, è un giovane fotografo, filmmaker e atleta di trail running, ovvero corsa in montagna. Francesco ci ha conquistato con la sua educata vitalità e la voglia di buttarsi col cuore in tanti progetti che riguardano la natura, in particolar modo la montagna, il suo sorriso sincero, gli occhi vivaci e la sua risata. Un giovane autore vulcanico, forse ancora incredulo di aver pubblicato il suo primo libro fotografico e di essere in tour in quasi tutta l’Italia con il libro e il docufilm La Restanza nato come progetto parallelo al libro. Abbiamo chiesto a Francesco Tomè di accompagnarci in questo percorso per capire meglio cosa significhi oggi scegliere di restare.

restanzaFrancesco Tomè con le copie del suo libro “La Restanza: dedizione alla propria terra. Storie di gente che resta fra Toscana ed Emilia”

La Restanza è un titolo suggestivo: cosa significa per te e perché hai scelto questo titolo per il tuo primo libro?

Il titolo è nato dopo essermi imbattuto nel libro di Vito Teti, La Restanza. Un libro che racconta e analizza il fenomeno della restanza nel sud dell’Italia. Io ho pensato che sarebbe stato interessante dare uno sguardo e raccontare, attraverso le immagini, la restanza che abbiamo in Toscana e nell’Appennino tosco-emiliano. Cosi, dal 2020 ho iniziato a fotografare e a riprendere persone, volti, luoghi della mia regione.

A ogni proiezione o presentazione che faccio mi rendo sempre più conto di quanto la restanza sia un tema molto attuale e che ci tocca tutti da vicino: vivendo nel centro di Firenze, vedo ogni giorno quanto il mio quartiere si stia sempre più svuotando dai fiorentini e si stia invece riempiendo di turisti che rimangono una settimana e poi ripartono. Il quartiere sta perdendo la sua identità, il centro di Firenze è in qualche modo diventato la periferia, dove i fiorentini si sono trasferiti ormai da diversi anni.

Mi sento, in qualche modo, anche io un restante, anche se in una città ricca di comodità. Mi rendo anche conto che il tema che ho scelto è in continua evoluzione ed è molto più grande di quanto immaginassi. Io non sono un antropologo, ma un fotografo e un filmmaker, attraverso questo progetto ho solo cercato di riportare e raccontare la realtà dei luoghi analizzati e investigati.

In un’epoca in cui partire sembra la regola, restare diventa un gesto rivoluzionario

Ci racconti come è nata l’idea del libro?

L’idea del libro è nata proprio con l’intenzione di dare un volto, una personalità nonché identità alle persone di cui spesso sentiamo parlare, coloro che scelgono di restare nelle loro terre, dove sono nati, ma che non conoscendoli magari di persona è come se non avessero un volto. Io ho voluto dare loro un’identità, renderli visibili e riconoscibili.

Ho sempre sentito una forte attrazione e anche un qualcosa di misterioso, mi chiedevo come fosse possibile scegliere di vivere in luoghi così lontani – almeno in apparenza, ma forse non in realtà – dalla città e dai servizi, in aree come le Alpi Apuane e l’Appennino tosco emiliano. Ho sempre guardato “i restanti” con un occhio di interesse profondo, mi hanno sempre incuriosito, e così ho deciso di imbattermi in questa nuova, grande avventura.

Quali sono i temi centrali che desideri arrivino maggiormente ai lettori?

Sicuramente vorrei riuscire, attraverso le immagini, a trasmettere le emozioni che vagavano dentro ognuna delle persone che ho fotografato. Vorrei trasmettere anche quanto sia più alta la qualità della vita quanto più si vive seguendo i ritmi della natura e di conseguenza della nostra vita primordiale. Con il libro ambivo, attraverso i ritratti, a poter mostrare storie di vite passate in mezzo ai boschi, seguendo un gregge o custodendo un castagneto.

Quale reazione speri di suscitare nei lettori?

Non lo so. In tutta sincerità e trasparenza. Curiosità forse… la cosa che mi piacerebbe di più in realtà sarebbe poter vedere dove vengono collocate le copie di chi ha deciso di acquistare il libro: in qualche libreria, scordato per sempre, su un tavolino in salotto, in cucina in mezzo alle ricette, sul comodino accanto al letto… Vedere le espressioni delle persone che lo leggeranno o l’hanno letto, sfogliandolo a casa, i commenti.

Ci racconti brevemente che cosa hai fatto questa estate?

Un lungo viaggio, una lunga corsa selvaggia, tanto dura quanto incredibilmente bella, durata 60 giorni, durante la quale, correndo 40 chilometri al giorno, ho traversato l’intero Arco Alpino percorrendo 2500 chilometri con 160.000 metri di dislivello positivo e 160.000 metri di dislivello negativo. Ma di questa avventura ci sarà modo di parlare con più calma.

Progetti futuri?

Francesco filmmaker sta pensando e ipotizzando un nuovo viaggio fotografico e/o documentaristico verso le terre alte in paesi e realtà fisicamente vicine ma molto distanti idealmente. Vorrei approfondire tanti aspetti e forse concentrarmi su un territorio più piccolo e definito e andare in profondità. Francesco atleta invece sta sognando – e anche studiando – un nuovo percorso sulle montagne di casa: le Alpi Apuane.