Passate più di 24 ore dal trionfo di Raul Fernandez nel Gran Premio d’Australia di MotoGP, si può andare in profondità agli eventi ed effettuare una serie di riflessioni che possano evolvere il mero risultato. Al riguardo, viene spontaneo guardare a Davide Brivio con un’ammirazione e un rispetto viepiù rinforzati.
Francamente, viene il dubbio che il sessantaduenne lombardo possa essere reincarnazione di Μίδας, Mida, il leggendario Re della Frigia, celebre nella nostra cultura popolare il suo proverbiale tocco aureo, ossia la capacità di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse, donatagli da Dioniso.
Come potrebbe essere altrimenti? A fine 2001, Yamaha gli affidò la direzione del progetto MotoGP. Erano anni difficili per la Casa di Iwata, perennemente sovrastata dalla grande rivale Honda e costretta a subire lo smacco di vedere un’altra azienda giapponese, Suzuki, vincere il Mondiale nonostante risorse più ridotte.
Non cominciò benissimo, per usare un eufemismo, perché la YZR-M1 al cospetto della RC211V, faceva la stessa figura della YZR500 nel confronto con la NSR500, ossia quella della moto malriuscita o comunque decisamente inferiore alla controparte prodotta dalle officine di Saitama.
La punta di diamante dei Tre Diapason, Max Biaggi, se ne andò sbattendo la porta, preferendo una Honda clienti a una Yamaha ufficiale. Più che uno smacco, in questo caso un’onta, per un’azienda che nel 2003 appariva alla deriva, senza più top-rider e senza alcun risultato di grido, il cui naso venne bagnato addirittura dall’appena arrivata Ducati.
Eppure, Brivio fu cruciale per convincere Valentino Rossi a sposare una causa apparentemente persa, tramutandola in vincente. Certo, il Dottore aveva la volontà di dimostrare di essere il migliore indipendentemente dal mezzo meccanico, ma senza il coraggio, la determinazione e la fiducia instillati dal manager del Team, non sarebbe stato possibile far cambiare partito al fuoriclasse di Tavullia, riportando la Casa di Iwata a dominare come accadeva ai tempi di Wayne Rayney.
Già portare Yamaha alla resurrezione, in quel momento, rappresentò un conseguimento epocale. Però il brianzolo non si è fermato a esso. Nel 2015 fu Suzuki ad affidargli le chiavi del progetto MotoGP, quando la Casa di Hamamatsu ripartì da zero. Brivio le prese e nel giro di un lustro aprì la serratura della camera aurea, quella contenente il Mondiale.
Il 2020 sarà stata una stagione anomala e Joan Mir è stato un Campione del Mondo estemporaneo, ma fu proprio il lombardo a scommettere su di lui. “Ha solo 20 anni, ha già vinto un Mondiale e ha dimostrato di avere talento. È feroce, arguto e può essere molto veloce. Sono tutti tratti che ci piacciono in un giovane pilota e, dopo averci parlato, ho capito che non vuole unirsi a noi solo per il blasone del marchio, bensì perché crede nel nostro progetto. Avrà bisogno di crescere, ma sono sicuro di aver effettuato la scelta giusta” disse Brivio nella primavera del 2018, quando gli offrì la sella di una GSX-RR, giocando d’anticipo rispetto alle aziende rivali. I fatti gli hanno dato ragione.
Giunti all’attualità, non si parla di Mondiale, bensì della singola vittoria di un Gran Premio. Però, signore e signori, tanto di cappello. Al comando della struttura satellite Aprilia c’è lui, Davide Brivio, che in qualche modo ha partecipato a un evento storico, la vittoria numero 300 della Casa di Noale nel Motomondiale tout-court e la prima conseguita con una moto esterna al Factory Team. Tre indizi fanno una prova, predicava Agatha Christie.