di
Redazione Roma e Ilaria Sacchettoni

La commercialista 47enne fu trovata morta a Roma il 10 aprile 1994. Il cadavere nell’armadio della camera da letto con una busta di nylon e due proiettili in testa. Le nuove indagini

La Procura di Roma, 31 anni dopo, ha riaperto l’inchiesta sull’omicidio irrisolto di Antonella Di Veroli, la commercialista trovata morta il 10 aprile 1994 nel suo appartamento di via Domenico Oliva 8, nel quartiere romano Talenti.

La riapertura dell’inchiesta, sollecitata dall’avvocato Giulio Vasaturo, legale della famiglia della vittima, è ora affidata alla sostituta procuratrice Valentina Bifulco.



















































Le indagini sono state delegate ai carabinieri del nucleo investigativo, che stanno effettuando nuovi esami su alcuni reperti sequestrati all’epoca della scoperta del cadavere. In particolare, vengono riesaminati bossoli di piccolo calibro e un’impronta rilevata su un’anta dell’armadio dove fu ritrovato il corpo. Si tratta di elementi che potrebbero oggi fornire risposte decisive grazie alle tecnologie investigative moderne.

Il cadavere ritrovato nell’armadio

Il corpo di Antonella Di Veroli, 47 anni, venne scoperto dai familiari, da un’amica e dall’ex socio Umberto Nardinocchi, all’interno di un armadio le cui porte erano state sigillate con il silicone. La donna aveva un foro in testa e un’ogiva tra i capelli.

Accanto al letto, un lenzuolo e un coprimaterasso insanguinati e un cuscino forato dai proiettili. Sul pavimento fu ritrovato un solo bossolo. La testa avvolta in un sacchetto di nylon. L’autopsia stabilì che Antonella Di Veroli morì per asfissia. Il colpo di pistola l’aveva solo stordita.

Omicidio Antonella Di Veroli, la Procura riapre il caso dopo 31 anni

I sospettati, il prestito di denaro

Un omicidio spietato, pianificato, e rimasto per decenni senza un colpevole. Le indagini si concentrarono inizialmente su due uomini. Il primo sospettato fu Nardinocchi, ex socio della vittima, prosciolto al termine dell’istruttoria.

Il secondo fu il fotografo Vittorio Biffani, con cui Antonella aveva avuto una relazione terminata bruscamente. La donna gli aveva prestato 42 milioni di lire, mai restituiti. Biffani fu rinviato a giudizio nel 1995, ma assolto due anni dopo, con sentenza confermata in appello e in Cassazione nel 2003. A scagionare Biffani furono una serie di elementi: l’errore nelle analisi del guanto di paraffina e un’impronta sull’armadio attribuibile a una terza persona mai identificata.

La «terza pista»

Nuove attenzioni investigative si stanno ora concentrando proprio su questa «terza pista», mai davvero approfondita all’epoca. Determinante potrebbe rivelarsi anche la testimonianza di Sergio Bottaro, un vicino che la sera dell’omicidio disse di aver visto un sconosciuto aggirarsi nei pressi dell’abitazione della vittima.

Raggiunta nella sua abitazione romana, la sorella di Antonella, Carla Di Veroli, si attiene alla prudenza ma dice: «Posso solo essere grata e avere fiducia nel lavoro investigativo».


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22 luglio 2025 ( modifica il 22 luglio 2025 | 17:44)