Roma, 20 ottobre 2025 – Si spengono i sorrisi e tacciono le voci di speranza a Gaza. Hamas è ancora arrogante, con l’ala militare indebolita ma non del tutto battuta, che non vuole deporre le armi. Erano 60mila i guerriglieri, ma dal 7 ottobre 2023 ad oggi l’inferno di missili e bombe di Israele li ha ridotti a 35-40 mila, in parte ancora nascosti nei tunnel con il leader militare Ezzedin Al Adad, nome di battaglia Abu Sohaib. Un irriducibile che, come i suoi fedelissimi, considera il Kalashnikov e l’Rpg Yassin parte del proprio corpo. Il Piano Trump prevede la consegna delle armi, aspetto trattato con l’ala politica guidata da Khalil al-Hayya, boss del movimento che sta in Qatar, ma l’ala militare di Hamas per ora dice no.
Secondo fonti sul posto, potrebbe essere al massimo disposta a consegnare i missili terra-terra nascosti nei tunnel dove vengono assemblati. Massima concessione, per ora. Khalil al-Hayya, leader di fatto del movimento, forma invece un consiglio di governo in esilio nel Qatar con Khaled Meshal, Nizar Awadallah, Zaher Jabarin e Mohammed Darwish. Nascosti tra le macerie e sottoterra restano reparti meno malleabili.
“A Gaza in superficie adesso è attivo il reparto di Muhannad Rajab, già capo della Brigata di khan Yunis, che mobilita 15mila uomini bene armati, tutti giovani tra i 16 e i 30 anni, integralisti, che stanno cercando di mettere ordine a modo loro”, spiega Marco Mancini, oggi analista e già capo del controspionaggio italiano. “Secondo mie informazioni hanno già ucciso 300 palestinesi, in parte considerati collaborazionisti dell’Idf e del Mossad o membri delle bande che assaltano i convogli di aiuti. I 15 mila di Rajab si sono anche autonominati polizia della Striscia per costruirsi un futuro da ex”.
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In questo inferno a cielo aperto tutto è possibile. E Rajad è lo stesso miliziano che propone al tandem Usa–Israele un salvacondotto per la propria milizia fondando un nuovo partito che possa partecipare alle elezioni. Col Kalashnikov in spalla. Dunque un presente e un futuro pieno di incognite.
“Il caos a Gaza incombe sul cessate il fuoco – spiega Alberto Pagani, esperto di Medio Oriente, intelligence e docente di storia del terrorismo – ci sono fazioni che pensando al futuro intendono combattere e far cadere Hamas. La capacità di controllare la distribuzione di aiuti è diventato un aspetto di potere per i mukhtar locali. Nei quartieri di Tel al-Hawa e al-Sabra di Gaza City agisce il potente clan Dughmush, protagonista di scontri con Hamas per il controllo del territorio”. E l’esercito israeliano addestra gang locali come contractors da utilizzare nella gestione degli aiuti.