Un pro’ corre sempre per il risultato. E’ vero, è ovvio, è pagato per questo. Ma è anche vero che può correre per divertirsi e quando ci riesce tutto assume un altro aspetto. E’ quel che ci ha raccontato, e che abbiamo visto dal vivo con Matej Mohoric reduce dal campionato del mondo gravel UCI.

Lo sloveno ama il suo mestiere ed ama anche il gravel. E’ la bici che più lo riporta a quando era bambino, ci racconta. E’ la bici con cui spingere, ma avere quelle sensazioni che vanno oltre. Quando ti senti tutt’uno con la bici. Mohoric ci racconta così com’è andato il suo mondiale, che lo ha visto salire sul terzo gradino del podio. Ma anche quel che significa, specie dopo tanti anni, riuscire ancora a divertirsi in bici. Ricorderete la sua discesa del Ventoux filmata da noi questa estate al Tour. Ma anche lo show di Maastricht.

Curve in appoggio, derapate, entrare killer in curva: Mohoric a Maastricht ha dato spettacolo (foto Instagram – Tornanti)

Curve in appoggio, derapate, entrare killer in curva: Mohoric a Maastricht ha dato spettacolo (foto Instagram – Tornanti)

Matej, come giudichi questo tuo bronzo? Sei soddisfatto?

Diciamo che se uno me lo chiedeva prima di partire avrei messo la firma. Perché il percorso quest’anno era ancora più facile rispetto all’anno scorso. C’erano meno tratti dove con le gambe potevi fare la differenza. Meno tratti tecnici, dove il gruppo si allunga. Quindi c’era più strategia, più tattica, dal punto di vista delle squadre.

Come è andata?

Dopo un’ora è andata via una fuga abbastanza pericolosa, con 6-7 corridori, dove c’erano anche tanti belgi e tanti compagni di squadra. In realtà sono andato a chiudere io, e poi sono partiti al contropiede quei quattro che hanno poi determinato la corsa, tra cui Florian Vermeersch. Lì ho capito che era il momento chiave. Ma, come ho detto, il percorso non era facile da gestire da quel punto di vista.

E dopo?

E’ successo come quando sono andato via con Tom Pidcock. Lui ha fatto il ritmo e io sono partito in contropiede: è difficile andare a chiudere su tutti. Alla fine, quando ero davanti, ho trovato il mio ritmo e le gambe, che comunque erano buone. Anche se ero tanto stanco dopo la stagione, dopo le ultime settimane davvero impegnative.

Nessun rammarico insomma…

Mi è dispiaciuto un po’ che il mio compagno di fuga, lo svizzero Stelhi, non ne avesse molta. Ma so che ha dato il suo massimo: quando tirava lui si vedeva che era stanco. Poteva anche stare a ruota e non dare i cambi, invece ha contribuito. Magari se al suo posto ci fosse stato Pidcock potevamo anche rientrare, anche se non era per niente facile. Florian è stato fortissimo e secondo me era il favorito numero uno. Se la merita tutta questa maglia. In questa disciplina è veramente forte. Già in Rwanda, ai mondiali, non potete capire che lavoro ha fatto per Remco Evenepoel. Si vedeva che stava davvero bene.

Matej Mohoric ha lottato come un leone. Alla sua ruota lo svizzero Stelhi

Matej Mohoric ha lottato come un leone

Matej, voi pro’ ormai siete quasi dei robot. I carboidrati all’ora, il casco aerodinamico, il guantino… Però grazie a te abbiamo visto che il professionista sa anche divertirsi. La discesa dal Ventoux questa estate, la guida show al mondiale gravel… Ti diverti?

Guardate, io ho iniziato ad andare in bici per questo. Perché è bello, perché ti diverti, perché mi piace guidare così. Quando uno ha la possibilità di farne il suo lavoro, e di conseguenza ha anche tanto tempo per fare pratica, diventa sempre più bravo. Magari non più veloce, ma più sicuro in quello che fa. In queste corse su gravel è anche più facile sfruttare, far emergere queste doti. Anche su strada è sempre importante sapere guidare la bici, ma nel gravel c’è ancora più differenza.

Quante volte hai usato la bici da gravel durante l’anno o prima del Mondiale?

Purtroppo noi professionisti non abbiamo tantissimo tempo: è uno dei problemi del nostro lavoro, che comincia a essere pesante dopo un po’ di anni. Siamo sempre di fretta. Tra allenamenti, gare e routine da pro’ non è facile trovare il tempo per le uscite con la bici gravel. Uno pensa che ci si potrebbe allenare ogni tanto…

Invece?

C’è sempre la tabella da rispettare ed è più comodo andare su strada: hai i tuoi parametri, i tuoi valori, puoi gestire lo sforzo. L’ho usata qualche volta per fare distanza, perché è un’uscita più semplice, senza lavori specifici. Quindi tornando alla domanda: credo di aver usato la bici gravel una decina di volte quest’anno.

In bici, anzi in gara, col sorriso… in pochi ci riescono (foto Instagram – Tornanti)

In bici, anzi in gara, col sorriso… in pochi ci riescono (foto Instagram – Tornanti)

Come concepisce Matej Mohoric la bici gravel?

Mi piace proprio perché non la considero come il mezzo di lavoro, come invece è la bici di allenamento su strada. E’ la bici del divertimento. Mi dà un senso di libertà. Mi fa sentire più connesso con la natura. Magari ci esco e faccio un giro non abituale, qualcosa di diverso per cambiare un po’. E anche per ricordarmi perché ho iniziato ad andare in bici, come quando ero piccolo. In generale vedi posti più belli, più selvaggi.

Con che gomme hai gareggiato al mondiale in Olanda?

Con un prototipo di Continental. Quest’anno devo dire che siamo migliorati tantissimo sotto questo aspetto. Negli scorsi anni devo dire di aver avuto fortuna, specie quando vinsi il mondiale in Italia: andò tutto bene e non eravamo così preparati tecnicamente. Nel gravel gli pneumatici e le ruote sono forse la cosa più importante della bici. Abbiamo studiato tanto e migliorato tanto. Oggi c’è tanta tecnologia e le gomme, anche se sembra assurdo, fanno davvero la differenza.

Beh, vediamo quanto ci investono i marchi…

Chiaro, soprattutto nel gravel devi trovare il giusto equilibrio tra velocità, grip e protezione. Se ti devi fermare per una foratura o perché usavi una pressione troppo bassa e rompi un cerchio su una pietra, è un problema. Ora esistono anche vari tipi di inserti da mettere all’interno del cerchio.

Tu l’avevi l’inserto?

Sì, e l’avevo montato su un cerchio particolare di Vision. La misura era 40, ma alla fine su quel cerchio era come fosse un 43 millimetri. A me piace andare forte nei tratti tecnici, sentire la velocità, controllare la bici che scappa…

Quest’anno la stagione su strada di Matej è stata a dir poco tormentata

Quest’anno la stagione su strada di Matej è stata a dir poco tormentata

Usciamo dal discorso gravel, Matej. La tua non è stata una stagione brillante come al solito. Come mai?

Nelle primissime gare stavo molto bene, quasi troppo. Avevo iniziato la preparazione presto e credo di essere andato oltre il limite del mio corpo. Dopo la prima corsa mi sono ammalato una prima volta, prendendo un’infezione batterica. Poi una seconda, una forte otite che mi ha costretto a prendere antibiotici. Subito dopo, il giorno prima della Strade Bianche, ho preso un’altra infezione, stavolta gastrointestinale, che mi ha distrutto. Da lì in poi non mi sono più ripreso.

E sappiamo che non è facile riprendersi in questo ciclismo…

Non andavo più avanti. Ho tenuto duro pensando di riprendermi nel periodo delle classiche, ma col senno di poi mi sarei dovuto fermare subito. Correndo da malato ho compromesso anche la seconda parte di stagione. Ho sbagliato anch’io a non fare uno stop totale e cercare di resettare tutto. Ho chiuso un po’ gli occhi e ho detto: sì dai, ce la faremo, e invece…

L’ultima domanda, Matej: Pidcock ti ha detto qualcosa sul fatto che guidi meglio di lui sul gravel?

Non penso che guidi meglio di lui – ride Matej – credo solo che quel giorno a Maastricht Tom fosse molto stanco dopo il Lombardia del giorno prima. Di certo in MTB non posso andare con lui… nel gravel, magari, me la gioco un po’ meglio.