di
Alessandro Sala
Soluzioni innovative per superare i problemi della vita di ogni giorno: il mondo della natura è maestro nell’andare oltre gli istinti. E lo dimostra in moltissime situazioni. Il nuovo libro del filosofo bolognese
La creatività non è solo una modalità di espressione artistica. È anche lo sviluppo di idee e di soluzioni, a volte nuove a volte no, capaci di adattarsi a una specifica situazione o contesto. Si traduce in scelte e azioni, a volte non convenzionali, che vanno oltre la prassi e la consuetudine per potere avere successo, superando un ostacolo o ricavando un vantaggio. Avviene spesso nella vita di tutti i giorni: in ambito lavorativo, nell’organizzazione domestica, anche nella gestione delle risorse economiche come insegnava un ex ministro del Tesoro che aveva associato l’aggettivo «creativa» alla parola «finanza» per dare una cornice a scelte di bilancio non sempre ortodosse. Nel bene e anche nel male – perché la creatività viene messa in campo anche da truffatori e approfittatori sociali – è qualcosa in cui gli esseri umani sono maestri. Ma non sono i soli. Anche gli animali sanno essere creativi e riescono ad adattare e a modificare le proprie azioni in base alle diverse situazioni in cui si ritrovano. Per riuscire ad affrontarle e superarle. Per avere anche loro successo, insomma. Che poi in natura questo significa, spesso, semplicemente sopravvivere. Roberto Marchesini, filosofo e zooantropologo, docente e autore di decine di pubblicazioni scientifiche, ha indagato e analizzato a fondo questo fenomeno. E ne parla ampiamente nel suo ultimo libro, «Creatività animale» (Lindau), da poco in libreria. Lo fa ora anche con noi. Con lui proviamo ad approfondire il tema cercando di individuare similitudini tra il nostro agire e quello degli «altri animali». E se, alla luce di tutto, occorre forse rivedere anche alcune nostre convinzioni.
Prof. Marchesini, partiamo dal titolo. Siamo soliti considerare la creatività un frutto dell’ingegno umano. Leggendo il suo libro si direbbe invece che non non è una nostra prerogativa esclusiva.
«La creatività è la capacità di trovare una soluzione nuova a circostanze consuetudinarie, vale a dire a vedere le situazioni che ci sono davanti con uno sguardo innovativo. Gli animali si trovano costantemente di fronte a questa urgenza, perché non possono uniformare le loro risposte affidandosi a ciò è successo in precedenza. Il motivo è presto detto: il mondo intorno a loro è estremamente mutevole e il cambiamento non è un’eccezione ma la prassi. È quella condizione conosciuta come il principio o paradosso della regina Rossa, che deve sempre correre per rimanere sulla stessa posizione, proprio perché tutto intorno a lei è in movimento progressivo. Non si può fare affidamento a una certa risorsa, pensando che sia perennemente a disposizione, per cui è necessario cercare sempre nuove opportunità, rinnovare le proprie strategie o ripensare le tattiche per raggiungere gli obiettivi: in pratica tentare nuove strade».
Questo significa che anche gli animali non si limitano a ripetere comportamenti istintivi ricevuti dalla loro storia evoluzionistica o i condizionamenti acquisiti nel corso della loro vita?
«Proprio così, a un individuo non è consentito limitarsi a utilizzare in modo ripetitivo le proprie competenze. E questo già lo sapeva Erasmus Darwin, il nonno del grande naturalista che ha avviato la rivoluzione evoluzionista, un nonno che indubbiamente ha avuto una grande influenza sul nipote Charles. Erasmus nel libro Zoonomia, scritto alla fine del XIX secolo, sosteneva che anche le capacità istintive di un animale, per esempio l’architettura di un alveare di vespa o la configurazione di un nido di uccello, aspetti già definiti dall’ereditarietà, motivo per cui per esempio un nido di calabrone ha sempre la stessa struttura, ogni volta devono essere adattati alle condizioni ambientali che l’animale ritrova. Anche in altre situazioni, per esempio il cacciare una preda o sfuggire a un pericolo: ogni volta la circostanza presenta delle somiglianze con eventi già trascorsi, ma non è mai identica ad essi. L’individuo cioè si trova sempre a dover gestire un margine di novità».
In altre parole la creatività è qualcosa che assomiglia a quello che normalmente definiamo flessibilità?
«I confini tra flessibilità e creatività sono estremamente sfumati. Per flessibilità s’intende la capacità di adattare una competenza alla circostanza specifica con cui il soggetto si confronta. Ma in questo caso si tratta sempre di piccoli aggiustamenti. La creatività interviene invece quando c’è bisogno di qualcosa di più. Anche i processi di soluzione di un problema possono avvalersi di processi creativi oppure essere affrontati per tentativi ed errori, per cui anche in questa circostanza i confini sono sfumati. Nel tentativo l’animale può limitarsi a utilizzare una tattica per somiglianza del problema a una condizione precedente, e parliamo di assimilazione. Oppure utilizzare delle ricette solutive che gli sono congeniali, ossia euristiche. Talvolta, tuttavia, la soluzione proposta ha un alto livello innovativo, e in questi casi parliamo di creatività. Gli studiosi in genere utilizzano tre principi per identificare la creatività. Il primo è il bending, che significa una trasformazione del pattern espressivo nella struttura o nel modo di utilizzo. Il secondo è il blending, che prevede la convergenza di più dotazioni o l’assemblaggio di unità differenti; il terzo è il breaking, che si caratterizza per la riconfigurazione del coreogramma, per cui lo si smonta e poi lo si ricompone in modo differente».
Se ogni individuo agisce a modo proprio e adatta i propri comportamenti alle diverse situazioni, dobbiamo riconoscere una soggettività animale?
«Non ci potrebbe essere creatività se l’animale fosse cartesianamente una macchina mossa da automatismi. Perché vi sia creatività nei tre principi suesposti è necessario che il soggetto sia titolare delle sue dotazioni, che ne abbia cioè disponibilità di utilizzo. Ma questo vale anche nelle situazioni di semplice flessibilità espressiva e nelle situazioni dove è chiamato a risolvere un problema per tentativi ed errori. Difatti, se non avesse titolo d’uso delle proprie conoscenze l’unica possibilità che avrebbe è il tentativo casuale, ma non è necessario avere conoscenze in termini di statistica per scoprire che fare tentativi a caso porterebbe a un’esplosione combinatoria di possibilità. Se così fosse, l’animale non potrebbe mai in termini utili risolvere il problema. Quello che dico sempre nei miei corsi è che se insegniamo il “seduto” a un cane non gli abbiamo messo un interruttore che lo fa sedere, ma gli abbiamo dato una chiave di accesso a noi, che lui utilizzerà in vari modi e che ne disporrà a piacimento».
Ammettere la presenza di una creatività animale può cambiare il nostro modo di considerare l’evoluzione?
«Certamente e questo era stato già previsto dal filosofo Henri Bergson autore del libro L’Evoluzione creatrice che vedeva la trasformazione delle specie come un processo reso possibile dalla forza creativa della vita. Anche lo psicologo Jean Piaget autore vi aveva fatto cenno nel saggio Il comportamento motore dell’evoluzione, in cui anticipava la teoria della costruzione di nicchia. Oggi, infatti, si riconosce un ruolo attivo del soggetto nell’orientare il processo filogenetico; si ammette, cioè, che le azioni compiute da un animale nel modificare l’ambiente, cambiando le pressioni selettive, contribuiscono a dare nuovi indirizzi alla configurazione di una specie. Se nel XX secolo si tendeva a vedere il processo evoluzionista come un fenomeno deterministico, imposto dal binomio del caso, cioè la mutazione casuale, )e della necessità, ovvero la selezione naturale, oggi al contrario si riconosce il protagonismo dell’individuo che assume un ruolo attivo nel gioco del successo riproduttivo, anche grazie alla creatività. L’animale, così, esce dall’angolo della passività e rivela interamente la sua agency».
Riconoscere la creatività anche in altre specie cambia qualcosa in noi esseri umani?
«Beh, ancora una volta a essere messo sotto critica è il nostro antropocentrismo, vale a dire quell’idea di esclusività e di suprematismo che ci ha posto come gli unici esseri privilegiati di ingegno dal titano Prometeo. Il mito è risaputo. Il fratello Epimeteo avrebbe fatto dono agli animali, ma sarebbe corretto dire agli “altri animali”, le virtù incarnate, dimenticando l’essere umano, cui non avrebbe consegnato alcuna virtù. Prometeo si sarebbe trovato, così, nella condizione di dover rimediare a questo inconveniente, consegnando alla stirpe umana il fuoco per plasmare il mondo e la tecnica per costruire strumenti. Un mito che segna una differenza incolmabile tra l’umano e il non-umano. Ammettere la creatività nelle altre specie significa accettare che un po’ di prometeismo sia presente anche in loro e francamente non è poco. In secondo luogo, vuol dire che anche noi possiamo imparare dalle invenzioni fatte dalle altre specie, e questo è fondamentale nella teoria zooantropologica che sostiene che la cultura dell’essere umano discende anche dalla nostra relazione con loro. La creatività animale è una rivoluzione di pensiero».
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20 ottobre 2025 ( modifica il 20 ottobre 2025 | 14:34)
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