Nel film di Justine Triet, Anatomia di una caduta, un personaggio disatteso diventa centrale all’interno delle dinamiche familiari: il cane Snoop. Testimone puro e silente, non giudica, non manipola, non mistifica, ma invita lo spettatore ad adottare il suo sguardo, che non pretende di sciogliere l’enigma ma di attraversarlo, restituendo così al film una dimensione composta da verità diverse e spesso antitetiche, fatta di fragilità più che di certezze.
Da questa prospettiva germoglia l’idea di un cinema diverso, dove lo sguardo di un cane può diventare un dispositivo narrativo capace di riflettere l’umano senza l’attrito delle parole. Esattamente come accade nel film horror Good Boy di Ben Leonberg, che radicalizza questa prospettiva, affidando a un cane l’unico punto di vista della storia e l’unica soggettiva in grado di restituire il disturbante spessore dell’alienazione.
Quello tra il protagonista di Good Boy, Todd, interpretato da Shane Jensen, e suo il cane, un bellissimo Nova Scotia Duck Tolling Retriever di nome Indy, è un rapporto simbiotico molto intenso. Todd dopo un periodo difficile e un ricovero in ospedale, decide di lasciare la città e trasferirsi lontano da tutto e da tutti nella casa in campagna del nonno defunto. Ad accoglierlo, accompagnato solo dal suo cane Indy, è una dimora fatiscente, abbandonata nei boschi, un luogo niente affatto piacevole o ospitale, e che si teme sia infestato dai fantasmi. Sua sorella Vera (Arielle Friedman), lo esorta a cambiare idea e rivedere la sua decisione considerando sia il suo stato fisico, una malattia cronica che lo porta a manifestare importanti sintomi respiratori, sia le circostanze anomale in cui il nonno venne trovato morto.
La casa come epicentro dell’orrore
L’idea di trasferirsi in un luogo remoto per riposare diventa un isolamento tutt’altro che terapeutico: a parte qualche passeggiata, Todd si rinchiude tra le mura inquietanti della sua nuova casa a guardare vecchie videocassette del nonno e numerosi film horror. Nel giro di poco tempo il comportamento di Todd diventa sempre più tetro, peggiora anche la sua salute, e Indy comincia a percepire che quella stessa forza oscura che alberga in quella casa, e che verosimilmente ha ucciso il nonno di Todd, sta circondando il suo padrone come un avvoltoio famelico.
Nell’immaginario dell’orrore, la dimora spesso assume il ruolo di epicentro narrativo: uno spazio circoscritto e ben perimetrato che amplifica le paure dei suoi abitanti e fa da cassa di risonanza per la loro interiorità e il loro senso di impotenza. La casa in cui Todd sceglie l’alienazione con il suo cane, sta sempre in agguato, è guardinga, predatrice, oscura, e le forze soprannaturali che scivolano da una stanza all’altra vengono percepite dal cane sotto forma di piccoli cigolii, rumori notturni, tonfi, stridii.
Il male attraverso gli occhi di Indy
La sua esperienza sensoriale plasma la nostra visione e l’obiettivo cinematografico è allineato totalmente sull’asse di sguardo del cane: attraverso Indy lo spettatore impara a captare l’invisibile e a tradurre tanti piccoli segnali, come un odore, un’ombra, un tremito in momenti di paura, curiosità, affezione, stupore. È attraverso questi piccoli gesti che il film ricostruisce la vicinanza tra Todd e il suo unico interlocutore stabile, sottolineando come la relazione con l’animale sia una lente d’ingrandimento per il trauma umano.