Ma quanto è bello andare in giro per i colli dell’Australia.
C’è questa cosa bizzarra per cui Bring Her Back – Torna da me (da qui in avanti: Bring Her Back o BHB) è un film australiano girato in Australia, ma il 90% dei tre personaggi in croce che hanno più di qualche linea di dialogo parlano con pesante accento britannico, e d’altra parte guidano entrambi dal lato sbagliato della strada. Poi però la protagonista, pur non calcando troppo sull’accento, è 100% australiana; ma d’altra parte è sorellastra del fratellastro britannico, mica sorella. Vai a sapere che intrecci ci sono. Per cui per me il film è ambientato in una terra di nessuno che unisce i lati peggiori del Regno Unito e dell’Australia in un unico grande mosaico di merda.
C’è quest’altra cosa bizzarra per cui a me Talk to Me, il film precedente dei fratelli Philippou, mica era piaciuto. Mi era parsa una buona idea, per quanto scritta con l’ormai arcinoto pennarellone Cinghiale, per un cortometraggio, stirata a film intero a botte di stile un po’ fine a se stesso e di ripetizioni degli stessi due concetti in croce. Con qualche buona morte, per carità, ed effettivamente lo stile c’era tutto, ma lo vedo come un horror, e mai avrei creduto di poter scrivere questa frase che sto per scrivere, che avrebbe giovato di un po’ di trattamento A24 (che pure il film lo distribuì) – che sarebbe stato un film migliore se si fosse preso un filo più sul serio, se avesse lavorato meglio sulle atmosfere invece che solo sui personaggi.
Qui ci sono almeno sette atmosfere.
È un giudizio, il mio su Talk to Me, che funziona cento volte meglio grazie al senno di poi, nel senso che il nuovo film dei fratelli Philippou, Bring Her Back appunto, fa quella svolta lì. A24 si limita ancora una volta a distribuire, ma forse per osmosi, forse perché funziona sorprendentemente bene nel bizzarro mercato attuale, fatto sta che i due mollano ogni tentazione teen per dedicarsi a quello che è forse il tema più abusato nell’ambito di quello che non siamo felici di chiamare elevated horror ma dobbiamo farlo per brevità e per capirci: l’elaborazione del lutto. Ah, e la famiglia, non in senso Dom Toretto ma in senso Hereditary. E ovviamente il disagio: dove Talk to Me era sovente sgarzulino e giovine, BHB è una mazzatona sui denti di gente che sta male e gente che fa star male altra gente e gente che pratica il gaslighting e gente che minaccia un gattino (SPOILER: non muore, rilassatevi).
E, come dire, insomma… è una bomba. Volevo scrivere “una mezza bomba” per trattenermi e fare vedere che sono ancora il cinico burbero di sempre, ma per una volta mandiamo affanculo la prudenza: Bring Her Back è un bellissimo film dell’orrore che vi costringerà a distogliere lo sguardo e tapparvi le orecchie in almeno due sequenze separate (forse tre, dipende quanto siete sensibili), e che fino alla fine si diverte a sorprendere con soluzioni e svolte narrative non per forza scontate. E soprattutto, santissime le divinità infere che hanno accolto Ozzy sul trono qualche giorno fa, ci credete che è un film
(scusate, prendo un bel respiro prima di scriverlo)
“OOOOOH ISSA”
SENZA SPIEGONI?
Zero. Ci sono un paio di frasi un po’ più espositive buttate lì a un certo punto, ma nessun momento in cui tutto si ferma e Personaggio Spiegoni guarda in camera illustrandoti nei minimi dettagli tutto quello che forse avresti dovuto già capire da te se avessi guardato il film con più attenzione. Bring Her Back praticamente non si spiega, e quando lo fa, lo fa in modo naturale e organico – “uno spieghino, e manco te ne accorgi” come diceva quella vecchia réclame.
Pazzesco. Ho passato tre quarti di film con il terrore di vederlo cedere, pronto a maledirlo perché “già non succede un cazzo per tre quarti d’ora, poi ci metti pure lo spiegone?”. Visto cosa succede ad avere pregiudizi? Viviamo in un’epoca algoritmica nella quale ci sembra di aver già visto tutto, e tutto quel che ci è rimasto per goderci una storia nuova è la soddisfazione nell’indovinare in anticipo dove andrà a parare. Io mica l’avevo capito, all’inizio, dove volesse andare a parare Bring Her Back. Pensavo che, credevo che, mi sembrava che fosse il classico slow burn brutto, che inizia letargico e finisce in un coito interrotto. Tipo quello che fai quando te la senti caldissima e vuoi fare l’autore. E invece no, questi due scriteriati hanno deciso di fare paura, di fare schifo, di fare gli effettacci pratici e la violenza estrema sui minori, mischiata con la possessione, la stregoneria, Sally Hawkins che sbrocca. Che bell’idea, gente. SIGLA!
Prima ho scritto, buttandola un po’ lì, che la protagonista del film è australiana. E in effetti Sora Wong si merita tutto il riconoscimento del mondo, non solo perché il suo personaggio sta al centro di tutto quanto, ma anche perché parliamo di una quattordicenne ipovedente che non aveva mai recitato in vita sua e che è andata al provino perché la mamma ha visto l’annuncio su Facebook, e che messa davanti a una macchina da presa si dimostra più a suo agio di colleghe più famose e blasonate, o di Tara Reid. Non arrivo a dire che la sua Piper si mangia il film, perché condivide sempre la scena o con una Sally Hawkins che deve vincere una scommessa con Toni Collette, o con il suo fratello maggiore e salvatore e pure un po’ spalla comica all’evenienza, tutta roba che Billy Barratt fa con estrema competenza. Ma sicuramente lo eleva, non nel senso di “elevated horror” Fabrizio, nel senso proprio che lo rende migliore: il cinema è anche fatto dalla gente che recita, e in questo Bring Her Back è pieno di fuoriclasse.
Il VERO protagonista del film, però, è secondo me un altro, e lo è perché segna il grande ritorno di una categoria che non esploravo da un po’: quella dei Bambini Orribili. Guardate Oliver che incredibile Bambino Orribile che è:
13/10 orribilissimo.
Oliver fa una paura fottuta. Oliver vive con Laura, che è la sua mamma adottiva; purtroppo è muto, per cui non sappiamo cosa sia successo alla sua famiglia. Questa bizzarra coppia raddoppia con l’arrivo di Piper e del fratellone Andy: il loro papà è morto scivolando nella doccia, e loro sono stati riassegnati a questa simpatica e un po’ bizzarra signora che vive in una villa isolata nei boschi, in attesa almeno che Andy compia i 18 e possa farsi dare la custodia della sorella (non chiedetemi quale sia il suo piano da lì in avanti visto che va ancora a scuola, è orfano anche di madre e la sua famiglia era povera in canna). È chiaro fin dai primi scambi che:
– Laura adora Piper, e sogna che lei la chiami “mamma”
– Laura, al contrario, sopporta a malapena Andy
– Laura è una persona molto strana
– Oliver è ancora più strano, oltre a essere un Bambino Orribile
Quello che il quartetto ha in comune è una qualche forma di trauma. Laura, per esempio, ha perso la figlia Cathy in uno sciocco incidente in piscina, e il fatto che abbia problemi con la morte e l’elaborazione del lutto è ulteriormente confermato dal fatto che ha un cane – impagliato dopo la sua morte, e da allora fisso in salotto a far da vigile sentinella a non si sa cosa. Andy e Piper hanno il trauma paterno, al quale vanno ad aggiungersi una serie di altri problemi che verranno fuori nel corso del racconto. E Oliver, be’… Oliver ha sempre fame, e ogni tanto ruba il gatto di casa, Junkman, e lo porta con sé in piscina. E dovreste vedere con che fazza guarda le galline in cortile!
“Quali galline? Quale cortile?”
Se a questo punto aggiungete il titolo del film al minestrone, dovreste aver capito dove vuole andare a parare Bring Her Back, almeno in linea generale. La roba deliziosa è che lo fa in modo assolutamente confusionario e scriteriato, sterzando e cambiando marcia in maniere così improvvise che m’è tornato in mente When Evil Lurks. Per una buona metà, il primo tempo diciamo, è ancora leggibile: è quella roba lì che dicevo sopra e che brucia lentamente, un metodico studio di personaggi e ambienti nel quale gli elementi orrorifici o comunque soprannaturali vengono introdotti in dosi omeopatiche prima della prevedibile esplosione finale. Bring Her Back però esplode prima del previsto, e non sempre come me lo aspettavo. E a un certo punto comincia a fare una serie di cose che…
… ma parliamo d’altro. Un horror è efficace quando ti dà fastidio, no? Ecco, i Philippou hanno preso tutto lo stile e la modernità e l’ultrapop di Talk to Me e l’hanno declinato in toni di grigio e vomito, depurandolo di ogni traccia di piacevolezza e tuffandosi di faccia nella melma. Voglio dire: il gusto di sbatterti in faccia una roba shockante e iperviolenta c’era già nel loro film precedente, il piede in bocca bla bla, ma lì era parossismo più divertente che conturbante. Qui succedono proprio delle faccende brutte e spiacevoli e che mi danno fastidio solo a ripensarci, che vengono peraltro stirate per lunghissimi secondi risultando ancora più estreme ma sfuggendo al rischio dell’effetto “gag dei Griffin“.
Familia.
Dopodiché, volete sapere se ha dei problemi? Sicuro, che per una volta non sono quelli che finisco sempre a elencare a questo punto: non c’è nessun crollo qualitativo nel secondo atto, NESSUNO SPIEGONE (fatemelo ripetere), nessuno dei soliti inciampi dei soliti horror dei soliti noti. C’è una certa autoindulgenza soprattutto in certe scene di raccordo messe lì apposta per farti capire che i Philippou sono ora Autori. Qualche momento che gira a vuoto, che però in un film del genere con me funziona come amplificatore dell’immersione (magari invece a voi rompe il cazzo, è tutto legittimo). Una mitologia sottostante a tutta la storia della possessione che è contemporaneamente fin troppo intricata e un po’ buttata lì.
Ma c’è anche, per dire, un uso moderato, ragionato e pertanto efficacissimo dei più smaccati momenti pop, a partire dalla bellissima sequenza della sbronza collettiva che sembra solo un momento buffo ma ti sta in realtà raccontando tantissimo un po’ su tutti i personaggi. E poi non ha mai fretta, Bring Her Back, perché tanto sa che prima o poi arriverà dove vuole arrivare, tipo la teoria del piano inclinato di Chiedimi se sono felice, no? ma con coltellacci, schegge, cartoni in fazza e orride deformi creature. Non si scappa, dalle orride deformi creature, e questo il film lo comunica molto esplicitamente già dopo pochissimi secondi. Poi ti dice di accomodarti e goderti il giro, fidandoti che non resterai deluso.
Io non sono rimasto deluso.
«Il miglior film di Bambini Orribili del 2025»
(Stanlio Kubrick, i400calci.com)