Quando una squadra WorldTour chiude, non è mai una semplice notizia di mercato. È un segnale d’allarme.
La recente uscita di scena della Arkéa-B&B Hotels, formazione francese salita al massimo livello nel 2023 e ora destinata a sciogliersi, racconta molto di ciò che sta succedendo nel ciclismo professionistico.
E no, la crisi non riguarda solo l’Italia: è europea, strutturale e potenzialmente sistemica.

Il caso Arkéa: quando gli sponsor si fermano

Arkéa-B&B Hotels non è una squadra minore. Nel 2023 aveva ottenuto la licenza WorldTour, schierando corridori come Barguil, Quintana e Gesbert, e ambizioni da top team.
Eppure, tutto è crollato in pochi mesi. I due sponsor principali — la banca Crédit Mutuel Arkéa e la catena B&B Hotels — hanno annunciato che non rinnoveranno i contratti oltre il 2025 e le trattative per trovare nuovi finanziatori non hanno portato risultati concreti.

L’UCI, come da regolamento, richiedeva entro il 15 ottobre 2025 la presentazione di garanzie bancarie e budget per l’anno successivo: documenti che il team non è riuscito a fornire.

Risultato: licenza revocata e fine del progetto, con oltre 150 persone coinvolte tra corridori, staff e squadre giovanili.

Modello economico fragile

Il caso Arkéa mette a nudo la fragilità del modello di business del ciclismo professionistico.
A differenza di altri sport, dove esistono entrate diversificate (diritti TV, ticketing, merchandising, partnership federali), il ciclismo vive quasi esclusivamente di sponsor: circa l’87 per cento dei budget WorldTour deriva da investitori privati.

Quando lo sponsor principale si ritira, il castello crolla.

Negli ultimi dieci anni i costi medi di gestione di una squadra WorldTour sono passati da 12-15 milioni a oltre 25-30 milioni di euro annui.
E non si tratta solo di stipendi: dietro ci sono logistica, tecnologia, ricerca scientifica, strutture mediche, staff e viaggi. Si tende verso costi troppo alti, roba quasi da livelli calcsitici ma senza i diritti TV.

Crescita dei costi, sponsor in fuga

L’aumento dei costi è stato esponenziale. Le squadre top (Ineos, UAE, Visma-Lease a Bike) hanno budget che superano i 50 milioni di euro.
Questo genera un effetto domino: le squadre di seconda fascia devono spendere sempre di più per restare competitive, ma senza avere le stesse risorse. E molti sponsor faticano a giustificare investimenti così elevati.
Il ritorno d’immagine non è sempre proporzionale alla spesa, e in un periodo economico instabile — tra inflazione, crisi energetica e tassi d’interesse alti — anche le aziende più solide preferiscono tagliare.
Arkéa e B&B Hotels non sono casi isolati: già nel 2023 QhubekaEuskaltel e Bardiani-CSF avevano segnalato difficoltà simili, mentre altre squadre hanno dovuto ridimensionarsi o fondersi per sopravvivere.

Competizione diseguale e regole rigide

A rendere il tutto più complesso ci sono i regolamenti UCI, sempre più severi: garanzie bancarie obbligatorie, bilanci certificati, standard minimi per personale e servizi.
Requisiti sacrosanti per professionalità e trasparenza, ma che rendono difficile la vita alle strutture con budget limitati.

Il risultato è un sistema sbilanciato verso l’alto: poche squadre molto ricche e una base che fatica a restare in piedi.
E il rischio è duplice: da un lato diminuisce la concorrenza sportiva, dall’altro cresce la dipendenza da pochi investitori.

Nel frattempo, il ciclismo si è globalizzato.
Squadre sostenute da fondi o stati del Medio Oriente (UAE, Bahrain, Israel-Premier Tech) o da grandi colossi internazionali (INEOS, Red Bull-BORA) stanno riscrivendo le regole del gioco.
Budget enormi, marketing planetario, visibilità globale: difficile competere.

In questo scenario, le squadre “continentali europee” — spesso radicate in territori e sponsor locali — faticano a tenere il passo. Ormai, senza investire almeno 300 mila euro, non si ottiene nemmeno il logo dello sponsor visibile con qualche team.

Il rischio? Che il ciclismo diventi sempre più elitario, concentrato nelle mani di pochi player globali.

Quali soluzioni?

Il ciclismo, oggi, deve scegliere: continuare a inseguire la logica dei grandi budget o reinventarsi su basi più solide.
Le possibili vie d’uscita esistono:

  1. Diversificare le entrate: diritti TV più equamente distribuiti, sviluppo del merchandising, eventi collaterali, community digitali.
  2. Favorire fusioni o consorzi di squadra, per condividere risorse e know-how, come già avviene tra Lotto e Intermarché.
  3. Riformare il sistema delle licenze, introducendo un “salary cap” o meccanismi di solidarietà che sostengano le strutture più piccole.
  4. Attrarre nuovi sponsor legati a settori in crescita — mobilità sostenibile, tecnologia verde, salute — coerenti con i valori del ciclismo.

Un campanello d’allarme

La chiusura di Arkéa è una sconfitta per il ciclismo francese, ma anche un campanello d’allarme per tutto il sistema.
Il WorldTour non può continuare a crescere in costi senza cambiare le proprie fondamenta economiche.
Serve un patto nuovo tra squadre, sponsor, UCI e organizzatori: un modello più equo, stabile e sostenibile.

Perché, sì, il ciclismo costa troppo.
Ma soprattutto, costa male.