La reporter ottenne l’autorizzazione a seguire l’avanzata degli Alleati in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale e a entrare, l’11 aprile 1945, nel campo di concentramento di Buchenwald, dove ritrasse i sopravvissuti scheletrici, gli ammassi di corpi e i volti attoniti dei civili. A proposito di quell’esperienza la fotografa scrisse: “Vidi e fotografai pile di corpi nudi senza vita, i pezzi di pelle tatuata usata per i paralumi, gli scheletri umani nella fornace, gli scheletri viventi che di lì a poco sarebbero morti per aver atteso troppo a lungo la liberazione. In quei giorni la macchina fotografica era quasi un sollievo, inseriva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo di fronte”.