Ci sono domande che sembrano appartenere solo alla filosofia o alla religione, e altre che improvvisamente, di fronte alla morte di una persona cara, diventano intime, brucianti, inevitabili. Esiste qualcosa dopo la morte? Con questa domanda si confronta il giornalista e scrittore francese Stéphane Allix nel libro Il Test (HarperCollins Italia).

E lo fa non con astratte riflessioni, ma con un esperimento tanto semplice quanto spiazzante: alla morte del padre, ripone nella bara quattro oggetti segreti, sconosciuti a chiunque. Poi, un anno dopo, consulta sei medium per verificare se qualcuno di loro sarà in grado di identificarli.

Nasce così un viaggio che è insieme giornalistico, umano e spirituale. Allix non è un credente cieco né uno scettico impenetrabile. È un reporter che per quindici anni ha documentato guerre e tragedie, qualcuno abituato a maneggiare i dubbi e la sofferenza. Ma dopo aver perso un fratello e poi il padre, la domanda sul senso della vita e della morte smette per lui di essere teorica e diventa urgente, personale.

Nelle pagine iniziali del libro, Allix rivela l’innesco della sua indagine: «Alla morte di mio padre ho riposto quattro oggetti nella sua bara […] Saranno riusciti a scoprire di quali oggetti si trattava?»

Quello che potrebbe sembrare un espediente narrativo è invece un metodo di lavoro: verificare, confrontare, lasciare che siano i fatti o le anomalie inspiegabili a parlare.

Il libro non indulge nel mistero facile. Al contrario, si muove con disciplina e rigore. Allix interroga i medium con la sobrietà di un inviato speciale, si confronta con la ricerca scientifica sulla medianità – citando studi e protocolli controllati – e lascia che il lettore si faccia un’opinione autonoma. Una delle tesi che ricorrono nel libro è che la vita dopo la morte, oggi, non è più solo una speranza ma «un’ipotesi razionale», supportata da studi condotti da ricercatori come Gary Schwartz o Julie Beischel

Ma al di là delle prove, Il Test è soprattutto un libro sul legame tra i vivi e i morti. Dietro l’esperimento si delinea la figura di un padre complesso, schivo, amante della solitudine e degli oggetti pieni di memoria. Allix lo racconta con pudore, lasciando che sia il percorso di riconnessione postuma, mediato dagli incontri con i sensitivi, a rivelare il cuore del libro: non tanto dimostrare che la morte non è la fine, quanto trovare un modo per restare umani davanti a ciò che non comprendiamo.

Che si creda o meno alla medianità, il valore del libro è un altro: mette a nudo la fatica del lutto e il bisogno di continuare a parlare con chi non c’è più. In tempi in cui la morte è spesso rimossa o spettacolarizzata, Allix restituisce al tema dell’aldilà una dignità narrativa e umana. Il suo è un libro che non pretende di convincere, ma di ascoltare. E che ricorda, silenziosamente, che il confine tra razionale e mistero è molto più sottile di quanto pensiamo