di
Viviana Mazza
Intervista a Rob Malley, negoziatore di pace in Medio Oriente per le amministrazioni Clinton, Obama e Biden
DALLA NOSTRA INVIATA
NEW YORK – Rob Malley è stato negoziatore di pace in Medio Oriente per le amministrazioni Clinton, Obama e Biden. Insieme all’ex negoziatore palestinese Hussein Agha ha scritto il saggio Tomorrow is Yesterday (Domani è ieri: vita, morte e il perseguimento della pace in Israele/Palestina). Gli abbiamo chiesto, sulla base della sua esperienza decennale e da vicino delle politiche israeliane, palestinesi e americane, se crede che il cessate il fuoco a Gaza durerà.
«Abbiamo già visto violazioni. Abbiamo visto chiaramente che, se c’è anche solo un minimo segnale che Hamas non stia applicando completamente l’accordo e anche quando gli stessi americani credono che non si tratti di una violazione, Israele desidera usarla come opportunità per riaffermare il proprio potere. E dal lato di Hamas esiste un desiderio quotidiano di riaffermarsi come l’autorità di Gaza. Lo scontro tra questi due interessi, che non sono conciliabili, è ragione di preoccupazione. Ma finora sembra che gli Stati Uniti vogliano che il cessate il fuoco regga. Stanno inviando le più alte cariche del governo, incluso il vicepresidente. Il presidente sembra investirvi molto. Perciò ci sono ragioni per pensare che sia possibile. Ma parlare di sicurezza sarebbe un’esagerazione».
Che cosa pensa del piano in 20 punti di Trump per Gaza?
«Distinguerei tra l’impatto immediato del piano e il contenuto di lungo periodo. L’obiettivo immediato, che è anche il più essenziale, è di porre fine al massacro a Gaza, rilasciare gli ostaggi e i prigionieri e consentire l’arrivo degli aiuti umanitari di cui c’è disperata necessità. Questa è la parte che adesso necessita di attenzione ed è la parte in un certo senso realistica. Non è ancora garantito, ma sembra esserci una certa pressione americana e internazionale perché almeno queste misure vengano implementate».
Cosa la preoccupa sul lungo periodo?
«La vaghezza di scadenze e metodi di implementazione, come verranno giudicate e punite le violazioni. Tutto ciò che accadrà dopo dovrà essere negoziato, e c’è molta incertezza perché ci sono elementi della parte successiva che né Hamas né Israele vogliono. Quindi vedo una chiara distinzione tra quello che chiamerei il primo anello, il primo cerchio concentrico, ovvero porre fine alle uccisioni, far rilasciare prigionieri e ostaggi, ottenere gli aiuti, e gli altri due livelli, cioè tutti i passi necessari per arrivare al governo, alla forza di stabilizzazione, al disarmo di Hamas, e poi il livello ancora successivo, la discussione di una soluzione globale. Più ci allontaniamo dal fulcro iniziale, meno mi sento fiducioso sull’applicazione. Ma la mia valutazione è: arriviamo almeno a ottenere il primo livello, perché si possono salvare delle vite».
Trump e i suoi negoziatori preferiscono non parlare di soluzione dei due Stati, sovranità e autodeterminazione palestinese, dicono di voler evitare vecchie «etichette» e puntare al pragmatismo: «Poi le definizioni possono venire dopo». È d’accordo? Il vostro saggio critica i politici che per decenni hanno parlato di soluzione dei due Stati anche se irrealistica e l’hanno usata come scusa per non fare nulla.
«Una cosa è riconoscere che i metodi del passato non hanno funzionato, un’altra è scegliere un buon percorso alternativo. I risultati della prima amministrazione Trump e i primi sei mesi della seconda non sono i più incoraggianti. Nel primo mandato hanno riconosciuto Gerusalemme come capitale e il Golan come parte di Israele. Hanno presentato un piano, che Jared Kushner mise insieme, che avrebbe comportato l’annessione di ampie aree della Cisgiordania da parte di Israele nei primi sei mesi. Non solo hanno dato carta bianca a Israele per continuare la guerra nel modo più aggressivo ma hanno fatto dichiarazioni sulla Cisgiordania definendola Giudea e Samaria. Perciò si può essere semi-soddisfatti perché stanno cercando qualcosa di diverso ma anche pessimisti sui possibili nuovi metodi. Non fanno quello che sosteniamo nel libro, cioè prendere in considerazione le narrazioni e aspirazioni storiche di entrambe le parti. C’è una tendenza nell’amministrazione Trump a prendere in considerazione solo una delle due parti».
21 ottobre 2025
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