L’estate di vent’anni fa ripartii da Londra un attimo prima che nel metrò esplodessero bombe. Uno dei pochissimi giornalisti di cui sia mai stata amica commentò: tu se vedi arrivare la notizia ti scansi. Ci tengo sappiate che non è cambiato niente: neanche lunedì ho visto la notizia.
Io AWS, che sta per Amazon Web Services, neppure sapevo esistesse. Francamente non mi ero mai fatta domande sui server che reggono il traffico di Amazon, così come non mi faccio domande su come sia economicamente sostenibile che mentre scrivo questo articolo, alle quattro di martedì pomeriggio, io clicchi per ordinare un libro e Amazon me lo faccia arrivare sul pianerottolo, senza sovrapprezzo, meno di ventiquattr’ore dopo, mentre voi questo articolo lo leggete.
Né sapevo che Jeff Bezos, non bastandogli mai i fantastiliardi, si occupasse anche di ospitare il traffico di roba che non è Amazon. Sapevo solo che era sua imdb, l’archivio di informazioni sui film che, di quel che mi viene in mente, è l’unico sito che sia rimasto un riferimento imprescindibile dagli anni Novanta, da quando nelle redazioni si cominciò a usare l’internet.
Avevamo tutti la Garzantina dei film, naturalmente, e io avevo anche uno splendido cd rom prodotto da Microsoft, sembrava modernissimo perché volendo si aggiornava con le informazioni che venivano dal modem che trillava. Poi arrivò imdb, che diventò rapidamente l’unico posto in cui guardare se ti serviva sapere qualcosa d’un film.
È rimasto tale anche quando il resto è cambiato: leggevamo i pettegolezzi su Mr Showbiz, un sito che non esiste più, andavamo in edicola a comprare Entertainment Weekly, un giornale che non esiste più, solo imdb resiste. Un monopolio così ce l’ha avuto credo solo Google, e Google l’ha un po’ perso adesso che tutti la ricetta dell’uovo al tegamino la chiedete all’intelligenza artificiale invece che a lui, mentre imdb è sempre l’unico riferimento se non ti ricordi chi fosse la costumista di “Le lacrime amare di Petra von Kant”.
So che imdb è di Bezos non perché sono informata (figuriamoci) ma perché l’unico vantaggio di Prime, rispetto alle altre piattaforme su cui guardare i film, è che lì metti un dito sullo schermo e ti dà tutte le notizie che, grazie alla sinergia con imdb, ha in memoria dei film, dei dettagli, di quel caratterista che ti ricordi che l’hai già visto ma non ti ricordi dove.
Insomma lunedì io volevo sapere che canzone degli Smiths suonassero in quella scena di “After the hunt” in cui Julia Roberts e Chloë Sevigny strabiliano perché Morrissey è di destra e in un pub di Yale dovrebbe essere banditissimo. E imdb non si apriva. Ho pensato che non funzionasse il mio wifi, perché se vedo la notizia mi scanso.
Ho scoperto ieri che mezzo mondo era in subbuglio, perché si erano incapricciati i server di Amazon, che oltre a imdb ospitano roba che mi vanto d’essere troppo intelligente per usare (Fortnite, Duolingo, ChatGPT, Zoom), e roba di cui sono troppo scema per fare a meno (Wordle, che per fortuna faccio ogni sera a mezzanotte e un minuto, e quindi non ho tentato invano di aprire di giorno, sennò sai che sofferenza).
L’ho scoperto da molte dichiarazioni, ma adesso non vorrei soffermarmi su Elizabeth Warren (senatrice, già candidata alle primarie presidenziali) che stigmatizza il monopolio perché nessuna azienda dev’essere così ingombrante da tenere in ostaggio l’internet. Vorrei invece concentrarmi su un altro nome che non avevo sentito fino a ieri. Matteo Franceschetti.
«Un fatturato complessivo di 500 milioni di dollari, e niente meno che Elon Musk, Mark Zuckerberg, Lewis Hamilton e Charles Leclerc fra i suoi clienti» è il sobrio incipit d’un articolo di FerraraToday su Franceschetti, che negli Stati Uniti ha fondato Eight Sleep, che a quanto ho capito è un’azienda di letti tecnologici, FerraraToday dice «per chi deve performare ad alto livello», io dico «per quelli che dicono “Alexa, metti la musica”».
Io per anni «Alexa, metti la musica» l’ho sentito dire solo al mio parrucchiere, che – ben prima che voialtri vi faceste dire da Dario Bressanini a che temperatura deve cuocere il filetto, e da Open AI quanti anni di carcere deve fare Sarkozy prima che gli diano i domiciliari – già si affaticava a schiacciare da solo il tasto play. Adesso mi pare che questa cosa di avere bisogno di tecnologia per sentirsi meno soli e più moderni sia diffusissima, e quindi il povero Franceschetti ha passato ore su Twitter (o come si chiama ora) a scusarsi perché il letto di qualcuno, fatto inclinare prima che s’incagliassero i server, non era più tornato dritto per ore.
La vostra esperienza nel Pod sarà a prova di interruzione del collegamento, prometteva (il Pod è il letto tecnologico, «esperienza» è la parola con cui in questo secolo si chiama tutto quel che costa più di quanto dovrebbe: in questo caso, dormire).
«Se l’Eight Sleep non funziona offline, per me non vale niente. Rovinare il sonno ai clienti che pagano perché quel sonno sia ottimale è un significativo fallimento», lamentava un cliente, e Franceschetti non gli diceva «ahò ma non è che se la roba ti marcisce perché va via la luce è colpa del fabbricante del frigo», ma anzi si profondeva in scuse e promesse di aggiornamenti notturni che li avrebbero messi al sicuro da prossimi malfunzionamenti dei server, perché deve tenerseli buoni: il Pod 5 Ultra costa quasi seimila euro, più quattrocento all’anno per l’abbonamento al programma che, oltre a riscaldarti e raffreddarti il letto come preferisci, tenga traccia anche della tua frequenza cardiaca e altre amenità.
La vita da ricchi è una vita che somiglia a quella dell’ospedale, solo che il monitoraggio cardiaco è di design. Col letto di Franceschetti, come sempre più spesso con le cose da ricchi della Silicon Valley, non compri un letto: compri l’illusione di allontanare la morte. E quell’illusione è molto fragile: nessun malfunzionamento dei server deve permettersi d’interromperla.
Alla fine la canzone degli Smiths era “Heaven knows I’m miserable now”, quella che squarciagolavamo quarant’anni fa ignari di star squarciagolando l’internet di quarant’anni dopo: «Perché concedo il mio prezioso tempo a gente cui non importa se sono vivo o morto?» – la stessa domanda che secondo me si faceva Franceschetti ieri a ogni notifica di cliente lavoro-pago-pretendo.
Però non l’ho trovata, la canzone, su imdb, in inconsueto ritardo nell’aggiornare le informazioni su un film già uscito. Ho dovuto cercare sui giornali, alla fine era citata in un’intervista a Julia Roberts. I giornali, quelli di cui ci fidavamo in un’altra vita: prima di cominciare a chiedere ad Alexa di mettere gli Smiths, col rischio che ci dica di no perché il tribunale morale ha messo il veto alle canzoni di quel fascista.