Caro Aldo,
sono un grande ammiratore del Sinner tennista, vederlo giocare mi ha spesso dato entusiasmo. La mia fede di tifoso subì un brutto colpo quando ritenne che accettare l’invito del presidente Mattarella fosse una opzione. Adesso un colpo ancora più forte me lo sta dando il suo annunciato forfait alla sfida di Coppa Davis con la nazionale italiana.Fausto Peyrani

Caro Fausto,
In Italia chi tocca Sinner muore. Se lo fa un giornalista, un’ora dopo viene coperto di dileggio non solo dai tifosi ma prima ancora dai colleghi: la cosa migliore che scrivono è che sei «invidioso», il che farebbe anche sorridere. Sul rifiuto della convocazione in Davis, si è espresso come meglio non si potrebbe Adriano Panatta. La Coppa Davis era importantissima; ora non lo è più. Negli anni 70 si seguiva la squadra azzurra, non i singoli tornei; ora accade il contrario. Per vincere la Davis si andava in India, in Australia, in Sud Africa, in Cile; ora si fa quasi tutto in una settimana. Sul piano sportivo, Jannik Sinner non si discute. Non è forte; è fortissimo. Non è grande; è grandissimo. Ha già vinto molto, vincerà ancora di più. Ma Sinner è stato indicato non solo come esempio sportivo, ma anche umano e sociale, come avanguardia della «nuova Italia». E se questo è vero sul piano del comportamento in campo — sempre educato, impeccabile, irreprensibile —, additare Sinner come modello di nuovo italiano rischia di creargli più problemi che altro. Perché Sinner ha quasi sempre dimostrato che dell’Italia non gli importa molto più di nulla, e non soltanto portando la residenza fiscale a Montecarlo (in buona compagnia, e non solo di sportivi, come in questa pagina ci siamo detti talmente tante volte da farci noia da soli; anche se ci sarà sempre qualcuno che dirà «perché non lo scrivete anche di industriali e finanzieri?»). Coppa Davis a parte, Sinner ha rifiutato l’invito di Mattarella al Quirinale (non vi sarà sfuggito che agli Internazionali d’Italia il presidente è andato a vedere la finale vinta dalla Paolini e non quella persa da Sinner; e quando ha trionfato a Wimbledon, non ha detto una parola). E Sinner ha sempre rifiutato di rappresentare l’Italia alle Olimpiadi, sia a Tokyo sia a Parigi, dove peraltro gli entusiasti l’avevano proposto come portabandiera; al che Malagò dovette replicare che per portare il tricolore alle Olimpiadi di solito bisognerebbe averle già vinte, o almeno fatte. Pagherà dazio per questo? Certo che no. Siamo un popolo che si disprezza. Ognuno ha un’ottima idea di sé, dei propri cari, dei propri idoli, e una pessima idea dei compatrioti. Cossiga, che ci conosceva bene, titolò il suo ultimo libro «Italiani sono gli altri». Inoltre, l’odio per lo Stato è tale che non pagare le tasse rende simpatici e popolari, non il contrario. Finché vincerà, Sinner sarà lodato e amato; quando perderà, sarà criticato, sino alla vittoria successiva. Da ultimo, un consiglio non richiesto. Non ho mai parlato con Sinner in vita mia, ma sono certo che sia un uomo intelligentissimo. Lo si vede da come si muove sul campo, e anche da come parla. Siamo ai livelli di Nadal e Djokovic, due tra gli sportivi più intelligenti della storia. Non a caso sia Nadal sia Djokovic hanno capito che un personaggio pubblico ha non tanto il dovere quanto l’interesse a comunicare, e magari anche a spiegare scelte curiose: tipo cacciare il fisioterapista e il preparatore atletico, sceglierne altri due, cacciarli e richiamare quelli di prima. Far calare a ogni occasione una cortina di riserbo e silenzio, come a dire «non ho nulla da spiegare o di cui rendere conto», è un’attitudine che passa inosservata nei momenti buoni, ma finisce in quelli meno buoni per creare difficoltà che un rapporto più sereno e generoso con i media e l’opinione pubblica potrebbe evitare.



















































22 ottobre 2025