Il tasso di fecondità crolla a 1,18 figli per donna (siamo sulla rotta dell’estinzione), mentre l’emergenza degli anziani non autosufficienti assume dimensioni via via sempre più preoccupanti. Ecco i due volti della crisi demografica italiana. Discussi nello stesso giorno. Grazie all’aggiornamento Istat sulla natalità e a un importante convegno al ministero della Salute, organizzato dal Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, cui ha partecipato il ministro Orazio Schillaci. L’emergenza delle «culle vuote» richiede politiche coraggiose. Non solo più asili nido, ma anche una maggiore attenzione, nei diritti e nei servizi, per le donne che lavorano e per le giovani coppie.
Poi c’è una questione legata all’immigrazione dagli aspetti politicamente delicati e in parte insuperabili. In base agli ultimi dati Istat l’Italia si avvia a essere il primo Paese per invecchiamento al mondo, meglio (perché vuol dire che si vive più a lungo e anche in discreta salute) del Giappone e del Principato di Monaco. Tre province, Biella, Oristano e Savona, hanno già più del 30 per cento della popolazione con età superiore ai 65 anni. Inevitabile la crescita degli anziani non autosufficienti e sempre più grave e urgente la necessità di assisterli adeguatamente, soprattutto se indigenti.
La presenza di una persona complessa, cronica e fragile è la maggior causa di impoverimento di una famiglia. Nella legge di Bilancio in discussione non vi è alcun cenno a questa categoria di cittadini italiani. Nota Cristiano Gori, coordinatore del Patto per il Welfare, che si è discusso a lungo per evitare di mandare un sessantasettenne in pensione tre mesi dopo ma nulla dell’universo dei «non autosufficienti». La legge 33 del 2023, varata dal governo Meloni, ci allinea formalmente – seppur con ritardo – alle scelte dei principali Paesi europei. Peccato però che l’attuazione della legge, soprattutto per l’assistenza domiciliare integrata (Adi), favorita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), sia in ritardo. Le procedure di ammissione ai servizi e alle residenze per anziani anziché essere rese più semplici sono state ulteriormente complicate. L’onere sulle famiglie (l’87 per cento dei caregiver è costituito da donne) è pesante seppur spesso invisibile.    
Investire sulle politiche per il cosiddetto long term care non è solo assistenza, sul livello della quale si misura – come ha detto il ministro Schillaci, ribadendo tutto il suo impegno personale e del ministero – il grado di civiltà di una Nazione. Ma è anche un investimento per la sostenibilità del sistema di welfare, per la riduzione degli oneri del Servizio sanitario nazionale e la tenuta sociale delle comunità. Il problema maggiore è dato dal costo annuale della riforma: tra i 5 e i 7 miliardi. Lo Stato e le Regioni non ce la fanno. Indispensabile un diverso rapporto tra pubblico e privato. Anche per non penalizzare, nella scarsità delle risorse, l’investimento nella promozione della natalità. Ecco il dilemma etico sempre più drammatico e indicibile dei prossimi anni.
22 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA