di
Fabrizio Guglielmini

Il genero del 51enne ebreo aggredito in un’area di servizio vive a Milano: «In Francia i gruppi antisemiti sono molto presenti e agguerriti, ma non è mai successo nulla»

Il suo nome e cognome preferisce non rivelarli pubblicamente per «ragioni di sicurezza personale», primo indizio di un vissuto fatto di tensione crescente. Lui è il genero di Elie Sultan, l’uomo francese di 52 anni aggredito domenica sera all’autogrill di Lainate, a 20 chilometri da Milano. Il genero, 25 anni, vive a Milano, è sposato e ha un figlio di pochi mesi.

Come si sente dopo l’aggressione a suo suocero e come la giudica?
«È un fatto gravissimo, spia di un clima d’odio che abbiamo intorno tutti i giorni ed è anche un attacco antisemita del tutto sganciato da questioni politiche: mio suocero è stato aggredito solo perché portava la kippah, il nostro copricapo tradizionale, e per nessun altro motivo. Ma la kippah, ci tengo a dirlo chiaramente, non è un simbolo politico. Non è che qualcuno, dopo averlo riconosciuto come membro della comunità ebraica, gli abbia chiesto le sue idee politiche o religiose. L’aggressione, prima verbale e poi fisica, come tutti gli atti di violenza è cieca e gratuita. Quello che per noi è un simbolo religioso ha scatenato l’inferno, con persone che si sono comportate in modo sconvolgente. Come mi sento? Determinato a cercare giustizia insieme a mio suocero e a vivere la vita di sempre».



















































Come si sono svolti i fatti, dal suo punto di vista?
«Eravamo di ritorno da Stresa e viaggiavamo su due auto: una la guidava Elie e a bordo c’erano suo figlio di 6 anni e la moglie, mentre sull’altra macchina c’eravamo io, mia moglie e l’altro figlio di Elie di 11 anni, oltre al mio bimbo di pochi mesi. Quando ci siamo fermati all’Autogrill sono entrati solo Elie e suo figlio piccolo. Già nella piazzola di sosta qualcosa è andato storto, perché quando mio suocero è sceso dall’auto una persona l’ha salutato in arabo. Una provocazione. Dopo aver passato un po’ di tempo all’esterno dell’autogrill, decido di ripartire in direzione Milano con l’accordo di vederci a casa, mentre mio suocero avrebbe accompagnato il figlio nei bagni, dove è avvenuta l’aggressione. Dopo aver percorso qualche chilometro arriva la sua telefonata: urla “chiama la polizia, chiama subito la polizia, mi hanno circondato, buttato a terra e picchiato”. Accosto immediatamente e telefono alla polizia tenendomi in contatto con lui minuto per minuto».

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Che cosa ha detto suo suocero dopo l’accaduto?
«A differenza di me, che a Milano sono stato obiettivo di aggressioni verbali indossando la kippah, a lui, che vive a Parigi, non è mai successo niente e non si sarebbe mai aspettato che un episodio del genere gli capitasse in Italia. Eppure in Francia i gruppi antisemiti sono molto presenti e agguerriti. Mio suocero è un uomo forte ma dopo l’aggressione era sotto choc. Per suo figlio, che ha visto suo padre a terra e percosso, è stata un’esperienza terribile».

Quali erano le sue condizioni?
«Il bambino ha visto tutto mentre una signora l’ha protetto portandolo in disparte, per molte ore ha pianto ed era molto pallido, con le mani fredde, in un profondo stato di paura e agitazione».

La Procura di Milano ha aperto un fascicolo sul caso «per percosse aggravate dall’odio razziale», come si sente dopo questa svolta?
«Devo dire la verità, non mi aspettavo una reazione così in breve tempo da parte della polizia e poi addirittura della Procura. Lo ritengo un successo per tutta la comunità ebraica di Milano, a cui appartengo. Tutti devono essere liberi di esprimere la propria identità e di muoversi senza nessun condizionamento. Questo è un principio che deve valere per tutti, anche al di fuori del credo religioso».


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30 luglio 2025 ( modifica il 30 luglio 2025 | 08:50)