Ogni volta che Daniel Day-Lewis interpreta un film lo trasforma in un evento di quelli memorabili. Con Anemone ci riesce ancora una volta. Il film, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma nella sezione autonoma Alice nella città, e al cinema dal 6 novembre, segna il debutto alla regia di suo figlio Ronan Day-Lewis. E che debutto, è nato un autore. Firma un film complesso, tormentato, profondo ed esteticamente potente sulle colpe dei padri che si rivela un tuffo al cuore e sin dai titoli di testa mostra la sua originalità, attraverso animazioni alla Gondry con bandiere bruciate e sporche di sangue. Non lo sappiamo ancora, ma è già una sintesi efficace di uno dei temi centrali del film, prodotto dalla Plan B di Brad Pitt: le colpe di ogni guerra, i crimini e i traumi che segnano per sempre chi si trova a viverle suo malgrado.

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Senza spiegare niente (per fortuna in casa Day-Lewis non c’è posto per un cinema didascalico) ci ritroviamo due uomini a confronto. Uno, tatuato dalla testa ai piedi, taglia la legna e vive una vita isolato da tutti, nel bosco. L’altro ha una famiglia, che saluta perché sta per partire per un viaggio importante. Sta per andare a trovare il fratello che da vent’anni vive tra i boschi. il racconto di un incontro-scontro familiare, quello tra due fratelli molto diversi (Jem e Ray), in cui silenzio e sguardi contano più delle parole. Parole spesso ruvide e pesanti come pietre, che dissotterrano segreti inconfessabili di infanzia, rimorsi, non detti, emozioni represse e taciute, storie di abusi e di vendette fecali, memorie che riemergono in tutto il loro devastante dolore. Nel mezzo c’è una missione importante da portare a termine: ridare fiducia a un ragazzo che l’ha persa del tutto e ha deragliato, massacrando di botte un compagno di scuola.