«Se si desidera modificare la logica di governance lo si può fare solo con un acquisto. Ma non ci risulta all’ordine del giorno e nel caso sottoporremmo le proposte agli azionisti. Il Salone resta di proprietà privata e noi restiamo al nostro posto». Silvio Viale, presidente dell’associazione “Torino, la Città del Libro” proprietaria del marchio del Salone del libro, risponde così alle parole di Giulio Biino.

Ieri, dopo essere stato (ri)scelto dalla Regione per guidare la Fondazione Circolo dei lettori e delle lettrici, il notaio è tornato sulla “questione governance” della fiera: «Adesso l’ingresso del ministero della Cultura nella macchina del Salone non è più una suggestione ma è una mission». Missione a cui il Salone, a distanza di poche ore, replica con fermezza: siamo pronti a collaborare con tutti, ma i proprietari restiamo noi. Se lo Stato lo vuole deve ricomprarlo.

Un déjà vu che complica il futuro

Un déjà vu sgradito. È questo il sentimento dei vertici del Salone di fronte all’uscita di Biino, anche perché il caos generato dalle sue dichiarazioni può ostacolare l’organizzazione del Salone del libro 2026. Il tema era stato già affrontato durante la scorsa edizione del Salone. E già allora aveva provocato terremoti istituzionali. Il caso era stato risolto con una pace. Che oggi si scopre fragile.

Tre anime e una proprietà privata

Governance. Tutto continua a ruotare intorno a questo concetto. Ovvero all’idea di inserire il Ministero della Cultura nel cuore decisionale del Salone, che oggi conta tre anime: la Regione (attraverso il Circolo), il Comune (con Fondazione per la Cultura) e i privati (con l’associazione “Torino, la Città del Libro” presieduta da Silvio Viale).

Il governo come una quarta gamba che si aggiunge alle tre già presenti del Salone. È questa la visione di chi tifa per l’ingresso del Mic. Ma per i privati di “Torino, la Città del Libro” il punto di vista resta un altro. Si parla della questione governance «in modo improprio», continua Viale. Per lui, da una parte c’è una proprietà. Dall’altra ci sono i partner istituzionali. Qui le porte sono aperte a tutti, anche al Ministero. Ma finché il Salone è privato, si ragiona nell’ambito di co-progettazioni.

Viale e Crocenzi: “restiamo al nostro posto”

Così, la risposta dei proprietari resta ferma: «Io sono al mio posto – continua Viale – come l’amministratore delegato Piero Crocenzi». Il Salone «pur rappresentando un’evidente missione pubblica» è di proprietà privata e rimarrà tale: «Comprendo i meccanismi della comunicazione politico-istituzionale e anche la naturale “voglia” di discutere di possibili ingerenze o contrapposizioni, ma non è questo il caso».

Il fatto non sussiste, per il Salone, che tra le righe conferma anche la direttrice Annalena Benini. Una conferma attesa ma non scontata: «Ha un contratto 3 (anni, ndr) più 3 con l’associazione che rappresento – conclude Viale – Questo contratto si rinnoverà automaticamente al termine di questa edizione e ne siamo molto felici».

Il Salone rivendica il proprio modello

Insomma, il Salone tira dritto. Nei nomi e nella governance. Rivendica il «piano industriale che ha restituito al Salone il ruolo di uno dei più importanti eventi di promozione del libro e della lettura a livello europeo». E non prevede nuovi scenari se non quello di «costruire un grande progetto per la promozione del libro e della lettura» promosso dallo stesso Biino.

Un ramoscello d’ulivo con al centro lo stato dell’editoria in Italia: lì il Salone risponde presente. Salvo archiviare la “questione governance”.