Come abbiamo fatto poco fa con la Solution Tech-Vini Fantini, adesso andiamo a casa dei vincitori di questa sfida per il trentesimo posto nel ranking UCI. La VF Group-Bardiani alla fine l’ha spuntata, ma anche per loro non è stato facile.
Ne abbiamo parlato con il manager e direttore sportivo Roberto Reverberi. Quei 235 punti di vantaggio consentono alla squadra italiana più longeva, forse la più storica in assoluto nel professionismo, di poter sperare ancora in un invito al Giro d’Italia. In teoria anche per Vuelta e Tour ma è chiaro che il pensiero principale va alla corsa rosa. E questo vuol dire molto in termini di futuro, di progettazione. Magari non di vita, perché molti sponsor già c’erano, ma così tutto cambia… in positivo.


Insomma, Roberto, è stata dura ma ce l’avete fatta a portare a casa questo benedetto trentesimo posto…
Sì. Noi avevamo programmato un calendario abbastanza intenso proprio per questo motivo: per fare punti. Poi, per una cosa o per l’altra, durante la stagione sono successe situazioni che ci hanno complicato la vita.
Tipo?
Infortuni, soprattutto dei corridori che ritenevamo più utili per raggiungere questo obiettivo. Alla fine ci siamo trovati un po’ con l’acqua alla gola per queste mancanze. Meno male che abbiamo avuto i ragazzi più giovani che si sono impegnati fino alla fine e hanno raccolto parecchio. E alla fine tutto è andato per il verso giusto per riuscire a raggiungere il traguardo.
Tempo fa ci avevi detto che li avevi visti ben motivati e consapevoli riguardo a questa corsa ai punti. E’ stato sempre così o verso fine stagione avete cambiato atteggiamento e magari avete cercato il risultato?
No, lo spirito e la tattica sono sempre rimasti quelli. Purtroppo con questo sistema di punteggi, che ritengo ingiusto, sei obbligato a correre in modo anche strano. Se andate a vedere lo sprint del Giro del Veneto, noterete cinque dei miei corridori tutti appaiati a fare la volata. In quel modo abbiamo fatto quei 55 punti che ci hanno dato la tranquillità definitiva. Però non è il modo di correre. E questa foto l’ho mandata anche all’UCI, chiedendogli: «Vi sembra normale che una squadra debba correre in questo modo?».


Oltretutto la 32ª squadra in classifica ha mille punti in meno…
Esatto, ci siamo scannati per un posto. Anche se dovessero sparire delle squadre o ci fossero fusioni in corso, la regola era chiara: dovevi essere nelle prime trenta a fine stagione. Tutto ciò che succedeva dopo non contava. E’ stata una guerra fino alla fine, meno male che ce la siamo cavata.
Anche per voi poi il calendario è stato fittissimo. Avete corso in Asia sì, ma soprattutto in Europa…
Abbiamo corso anche in Cina e in Malesia, ma non è questo il modo giusto di fare ciclismo. Dovrebbe intervenire anche l’associazione dei corridori, perché alcuni atleti hanno superato gli 80 giorni di gara. E parlo di ragazzi giovani. Non è giusto costringerli a correre in tutte le parti del mondo solo per fare punti. E’ stressante, sia a livello fisico che psicologico.
E questo crea un gap ancora più grande con le squadre WorldTour…
Esatto. Loro si allenano e si preparano con calma, noi invece dobbiamo essere sempre in tiro, sempre a correre. Arriviamo alle gare al 90-95 per cento, per dire, e mai al 100 per cento. E nel ciclismo di oggi se non sei al massimo, diventa durissima.
E tatticamente come avete interpretato le gare?
Avete notato che abbiamo corso le ultime gare anche in Italia senza mai mandare nessuno in fuga? Questo per preservare i ragazzi e cercare di fare punti. Anche 10 punti possono fare la differenza. Un anno abbiamo perso la Coppa Italia per un solo punto. E quel successo dava la wildcard per il Giro. Perciò abbiamo dovuto calcolare tutto. Meglio metterne un paio nei primi 15 che sprecare energie per andare in fuga.


I vostri rivali indirettamente sono diventati i Solution Tech, lo hanno puntato forte sul calendario asiatico…
Ognuno se la gioca come crede, su quello nulla da dire. Pensate che loro, dopo aver visto il divario di 200 punti a fine stagione (dopo il Giro del Veneto sostanzialmente) non sono più andati a correre in Serbia, perché non sarebbero comunque riusciti a rimontare. Ma è logico tutto ciò? Non voglio dare colpe a loro, ma il sistema è questo. E costringe le squadre a sacrificare i corridori migliori non nelle corse importanti, ma in quelle minori solo per fare punti. Per me non è normale.
Decisamente no. In tanti tecnici lo dite. Cosa fare allora?
Io l’ho fatto notare a chi di dovere e mi hanno risposto che bisogna fare squadre più forti. Ma come? Ci sono team WorldTour che spendono 30 milioni e vincono quattro corse all’anno. Lo dicessero a loro. Noi non abbiamo quei budget. Ma il problema c’è anche per loro, perché più in alto ancora ci sono quelle quattro o cinque squadre che prendono tutto e tutti.
C’è stato un momento in cui avete avuto davvero paura di restare fuori?
Sì. Abbiamo lasciato per strada diversi punti, penso a quelli del Giro, più che altro per sfortuna. Proprio al Giro siamo rimasti presto con sei corridori. Poi ci sono stati gli infortuni di cui dicevo. E così, a un mese dalla fine, la Solution Tech era praticamente a ridosso. Anzi, per una settimana ci aveva anche superato. Non eravamo in una bella situazione, ma confidavamo nelle ultime gare. Fortunatamente abbiamo tenuto duro e la motivazione di tutti, soprattutto dei ragazzi, ci ha permesso di creare quel gap decisivo.