Una ventina di piccole case editrici britanniche (tra le altre 404 Ink, Cipher Press, Peninsula, Prototype, Tenement Press) ha pubblicato in questi giorni sul periodico specializzato The Bookseller una lettera aperta sul futuro dell’editoria indipendente nel Regno Unito, di cui vale la pena riportare i punti principali. È infatti possibile, se non quasi certo, che almeno alcuni dei problemi segnalati siano gli stessi che rendono la vita difficile a tante analoghe sigle italiane.

Saltiamo la premessa, in cui si ricorda il ruolo fondamentale che le case editrici «minori» svolgono quotidianamente portando «letteratura innovativa e diversificata a un vasto pubblico», e concentriamoci sulle note dolorose che, tanto per cambiare, vengono definite «sfide», challenges, in onore allo spirito del tempo (indipendenti sì, ma pure un po’ banali, purtroppo).

AL PRIMO POSTO c’è l’inflazione, e forse su questo da noi la situazione non è così negativa, perché l’editoria italiana dovrebbe avere sofferto meno per «la combinazione di dazi doganali causati dalla Brexit, e ora dei dazi commerciali di Trump», che nel Regno Unito ha causato «grossi problemi di evasione negli ordini versi i due maggiori mercati esteri, Europa e Stati Uniti». Anche in Italia, però, «la guerra in Ucraina ha influito sulla fornitura di carta e sui costi energetici, aumentando significativamente le spese».

Ne deriva, e siamo al punto due, che «il costo di produzione di un libro è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni». Gli indipendenti britannici sono molto precisi: il costo unitario di stampa e produzione di un titolo nel 2015 oscillava tra una sterlina e 30 centesimi e una sterlina e 80, ma nel 2023 «quel costo unitario è salito tra 2,83 e 3,50, con un aumento dal 40 al 100%». (E non è escluso che in questi due anni la situazione sia ancora peggiorata). All’aumento dei costi non si è però accompagnato un aumento parallelo del prezzo di copertina, per i motivi che si possono intuire: i grandi gruppi editoriali si possono permettere di mantenere prezzi bassi, grazie a tirature più alte, e i piccoli – anche se non lo scrivono – temono di perdere lettori. Il risultato è che «con sconti di distribuzione e librerie sommati a questi costi crescenti, i nostri margini già risicati si riducono ulteriormente».

LE VENDITE e la distribuzione sono del resto al centro del terzo capitoletto, che riassume rapidamente i nodi più rilevanti: minore visibilità nelle librerie di catena, una crescente disattenzione delle librerie online (leggi, sebbene non sia specificato: Amazon), la progressiva riduzione degli spazi dedicati alla cultura, e specificamente ai libri, nei media, sono tutti elementi che «rendono difficile per un libro ‘entrare’ nelle librerie e poi ‘esplodere’ in un successo più ampio».

E ancora: le difficoltà di distribuzione, i meccanismi sempre più complicati per le richieste di finanziamenti pubblici, perfino, in alcuni casi, il calo di sostegni per le prese di posizione a favore della Palestina – una «accumulazione di pressioni» che ha creato «carichi di lavoro insostenibili e prospettive sempre più incerte», le cui conseguenze sono già evidenti: «negli ultimi anni hanno chiuso numerosi editori indipendenti» e la stessa 404 Ink, fra i firmatari della lettera, «ha annunciato l’intenzione di chiudere a metà 2026 mentre riduce progressivamente le operazioni». Una sorte che potrebbe estendersi ad altri marchi se non si prendono misure urgenti – e di fatto l’obiettivo del documento è proprio questo, aprire una discussione che coinvolga tutti i soggetti del settore per garantire in futuro «la varietà e la ricchezza del panorama letterario nel Regno Unito».