È una festa, ma è soprattutto una lezione di vita granata. Ogni anno l’intero settore giovanile del Toro si ritrova a Superga per onorare il Grande Torino e farsi ispirare dai valori degli Invincibili: è un piccolo rito di iniziazione che si conclude con la lettura dei nomi delle 31 vittime. Un onore che tocca al capitano della Primavera e nella voce di Tommaso Gabellini, fresco 19enne, si sente ancora l’emozione provata di fronte alla lapide.

Gabellini, quale sentimento si prova in un momento così?
«Orgoglio. Senti la responsabilità, ma ho pensato anche alla mia famiglia e a tutti i sacrifici fatti per me. Mi resterà dentro: non capita tutti i giorni».

Tremano le gambe?
«Un pochino sì, poi quando inizi e leggi “I campioni d’Italia”, allora ti sciogli e vai».

Tremavano di più al debutto in A lo scorso 25 maggio?
«È diverso: lì stavo giocando a calcio, che è la mia passione e il mio divertimento. Però io non ho ancora fatto nulla: cerco di dare il massimo per costruire il mio futuro».

Nel futuro c’è anche quello di tornare a leggerla da capitano in un prossimo 4 maggio?
«È un sogno e ne parlavo proprio a Superga con Don Robella, il cappellano granata».

Come si è preparato?
«Ho osservato, poi il dirigente Denis Morino mi ha aiutato per le pronunce dei nomi stranieri: ci tenevo a rispettare una storia unica. A Superga ero già salito, la prima volta è stata da aggregato alla prima squadra il 4 maggio 2024, e lì ho capito che cosa è il Grande Torino. È un brivido che ti rimane dentro per sempre».

Qual è il giocatore che l’ha colpita di più?
«Valentino Mazzola, il capitano. Poi a Orbassano giochiamo sul campo a lui dedicato».

Lei ha segnato il primo gol stagionale del Toro, nell’amichevole contro l’Ingolstadt, e spesso si allena nel Filadelfia dove il Grande Torino è diventato leggenda…
«È straordinario e bellissimo, un’emozione davvero unica».

L’INTERVISTA

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Che cosa vuol dire il Grande Torino, scomparso 76 anni fa, per chi è nato nel 2006?
«È stata una squadra fenomenale, ma è stato anche un esempio. Chi gioca nel Toro deve capire che cosa sono stati gli Invincibili per dare qualcosa in più sul campo: per noi, ma anche per loro. Ecco perché ritrovarsi a Superga con tutto il vivaio è fondamentale per comprendere dove sei».

Lei è di Misano…
«Credo di essere uno dei pochi a non andare in moto dalle mie parti (sorride, ndr)…».

Che cosa ha capito del Toro?
«Che è una famiglia: quando sono arrivato mi hanno trattato come un figlio, mentre i compagni sono diventati i miei fratelli. Giocavo nel Cesena e nel gennaio 2023 papà mi ha detto che sarei andato a Torino: mi è cambiato il mondo e non è stato facile all’inizio andare via di casa a 16 anni».

C’è stata una raccomandazione di mamma e papà?
«Di studiare e di finire la scuola. Sono riuscito a prendere la maturità all’istituto tecnico: era importante per me, la mia famiglia e la società. Vale più di un gol in Serie A».

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Il Toro era nel destino? Il suo agente è il figlio di Pecci…
«Eraldo mi racconta sempre cose divertenti, ma lo ascolto bene quando parla di Toro».

Nel suo ruolo di attaccante può prendere ispirazione da Zapata, Simeone e Adams…
«Sono grandissimi giocatori e hanno lo spirito Toro, ma anche altri me l’hanno trasmesso nel ritiro di quest’estate. Sono un ragazzo tranquillo, ma in campo mi trasformo e cerco di tirare fuori il Toro che ho dentro di me».

Simeone va spesso a Superga da solo e dice di trovare pace.
«Ha ragione. Io ci sono andato anche con la mia ragazza: nonostante la tragedia, quel luogo dà serenità perché c’è silenzio e accoglienza».

E com’è viverlo il 4 maggio?
«È incredibile. Anche grazie ai tifosi ho capito che cosa è il Toro e quanto è importante. Nessuna squadra ha una storia così».