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Paolo Mereghetti

La pellicola di e con Guerritore manca di una forte visione artistica. In concorso anche la delicata opera prima della francese Pauline Loquès

Interpretare una delle più grandi attrici italiane è una tentazione a cui è difficile resistere. E infatti Monica Guerritore ci si è buttata a corpo morto, coinvolgendo come produttore anche il marito Roberto Zaccaria. Ma perché volersi intestare pure la parte creativa, intervenendo sulla sceneggiatura  e rivendicando la regia?

Anna non rende un gran servizio alla Magnani, e tutto discende proprio dalla mancanza di una forte visione artistica. Ricostruendo la vita dell’attrice a partire dalla notte in cui aspettava l’esito degli Oscar e poi seguendola nelle successive difficili scelte di carriera, il film offre solo scene madri e dichiarazioni memorabili.



















































Più che cinema sembra teatro d’antan, dove tutto è troppo spiegato, ogni personaggio deve insegnare qualcosa e le battute assomigliano a sentenze definitive, spesso recitate in maniera troppo magniloquente. E così il fascino del cinema, fatto di allusioni, di sottintesi, di complicità con lo spettatore se ne va a farsi friggere.

La Festa di Roma però riserva anche belle sorprese, come Nino, opera prima in concorso della francese Pauline Loquès: un timido trentenne (interpretato dal convincente Théodore Pellerin) pensa di dover ritirare una dichiarazione in ospedale e si sente diagnosticare un tumore in gola: tre giorni dopo dovrà iniziare la chemio, e se vorrà avere dei figli deve raccogliere il suo sperma da congelare.

La notizia lo tramortisce tanto da non fargli trovare nemmeno le chiavi di casa e così lo seguiamo girovagare per Parigi, tra una madre su cui non può fare un gran affidamento (Jeanne Balibar) e un’amica di scuola ritrovata per caso (Salomé Dewaels).

Con una leggerezza che non vuole cedere alla disperazione, tra umorismo involontario (la scoperta del portiere infartuato) e tenerezze sussurrate (il figlioletto dell’amica; lo sconosciuto al bagno pubblico), il film riesce a costruire il ritratto di una giovinezza che la malattia mette in discussione ma a cui Nino non vuole rinunciare.

Nella sezione «Special Screenings», poi, ieri sera si è visto Noi e la grande ambizione con cui Andrea Segre ha documentato i dibattiti che ha scatenato la proiezione del suo Berlinguer: non una riflessione critica sul film ma una bella testimonianza di fiducia sul bisogno di tornare alla politica in prima persona, specie da parte di chi il segretario del Pci nemmeno l’aveva conosciuto.

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20 ottobre 2025 ( modifica il 21 ottobre 2025 | 20:56)