La prima cosa che ho pensato, leggendo del furto al Louvre, è stata: vedrai che tutti pensano che i ladri siano scappati in motorino, e quelli invece sono nascosti all’interno, confusi tra i visitatori, invisibili in bella mostra.

Credo non fosse la mia rielaborazione della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, ma la prima di molte dimostrazioni che tutto ciò che è rapina è cinematografico: vi siete mai trovati in una banca in cui qualcuno a un certo punto ha urlato «mani in alto»? Io non so neppure se nella realtà sia mai successo, se davvero le rapine si facciano così.

Diversamente da altre trame cinematografiche – i tradimenti, la morte, l’innamoramento, i viaggi, le recriminazioni, i bisticci, il matrimonio, il divorzio, la malattia, le bugie, i pranzi di famiglia, le amicizie infantili, le insofferenze senili – le rapine non ci sono mai capitate (parlo a nome della più parte della cittadinanza).

Le abbiamo viste solo al cinema e, diversamente da quel che ci è accaduto con altre storie a noi meno aliene, non è stato difficile fidarci degli sceneggiatori e del loro sapere di cosa parlavano: quando mai avremmo visto una vera rapina.

Persino in questi anni in cui l’internet ha fomentato la tendenza umana a dire eh, ma insomma, non funziona proprio così, avrei dei particolari da correggere, persino oggi i volenterosi correttori di dettagli che inficiano la sospensione dell’incredulità preferiscono concentrarsi sui viaggi nello spazio.

Va moltissimo il dibattito su “Armageddon”, un film del 1998 che non ho mai più rivisto e di cui ricordo pochissimo, solo che Bruce Willis si sacrifica per rimandare sulla Terra vivo Ben Affleck, che è quello che è fidanzato con sua figlia Liv Tyler. Il che mi fa pensare da ventisette anni che Liv Tyler odierà tutta la vita il marito che ha lasciato morire suo padre, ma non è di questo che l’internet dibatte.

L’internet trova inverosimile che – per scongiurare non so quale fine del mondo, fine del mondo scongiurabile solo mandando della gente a scavare delle buche in cui mettere dell’esplosivo che faccia sgretolare un asteroide prima che si sfracelli sulla Terra – nel film si addestrino degli operai abituati a perforare autostrade perché imparino ad andare nello spazio, invece che addestrare degli astronauti perché imparino a fare buche. All’epoca nessuno obiettò, perché il tempo che ora passiamo sull’internet lo passavamo a limonare.

Ma mai mai mai, neanche ora che passiamo il tempo a smaniare per correggere le opere di fantasia, ci è venuto in mente di obiettare alla verosimiglianza d’una rapina. Spike Lee ha deciso che in “Inside man” quello resti un mese nel caveau prima di uscire col bottino? Io ci credo, e mi aspetto che al Louvre vada uguale.

Quindi, le ragioni per cui la rapina dei gioielli al Louvre ci colpisce sono tante. Certo, quell’attrezzo per salire al piano superiore che siamo abituate a vedere nei traslochi e stavolta invece è un rapinatore che ha fatto ciò che sempre bisogna fare se non ci si vuole far notare: ostentare disinvoltura. Certo, i gioielli della corona, e non importa se la corona era quella di Napoleone III, al quale forse non siamo neppure arrivate col programma, tanto i giornali per fare il titolo più corto scriveranno solo “Napoleone”, e quello lo conosciamo proprio tutte, anche le più ripetenti di noi.

Possiamo fingere pathos per i gioielli dell’imperatrice Eugenia, ma la verità è che, benché io conosca molti turisti culturali del ceto medio complessato, sia di quelli che a Parigi vanno al Louvre perché i figli vogliono autoscattarsi con la Gioconda, sia di quelli che preferiscono luoghi più da gente che si dà un tono come la Fondazione Vuitton o il Musée Rodin (da visitarsi rigorosamente sospirando che quella talentuosa era Camille, altro che Auguste), non conosco nessuno che fosse mai entrato in quella sala a vedere quella tiara, quella corona, quei brillocchi il cui furto ora tutte piangiamo come ci avessero rubato la catenina della comunione.

Adesso siamo tutte esperte degli smeraldi che erano della duchessa di Parma, e invece non so quale altro gioiello era della regina Ortensia, le chiamiamo per nome come fossero Soraya e Grace e Diana che vedevamo su Gente e Oggi a casa delle nostre nonne. Ma dei gioielli non ci importa granché, e del personale del Louvre che è stato decimato dai licenziamenti neppure. Quasi non ci interessa neppure che non fossero assicurati, i gioielli, perché «era improbabile servisse». Quel che ci pare incredibile è che la vita non somigli al cinema.

Era ventun anni fa quando abbiamo visto “Ocean’s 12”, con quella coreografia un po’ balletto e un po’ arte marziale (sì, si chiama capoeira, sì, lo sappiamo che avete Google nel telefono) con cui Vincent Cassel evitava i raggi laser che avrebbero segnalato la presenza di intrusi e rubava un uovo di Fabergé in mostra. Era bravissimo, era un acrobata, era un genio nel suo lavoro, e noi pensavamo che fosse un po’ il minimo, se volevi essere un clamoroso rapinatore: dovevi inventarti dei modi di evitare misure di sicurezza pazzeschissime, mica entrare da un balcone a museo già aperto tanto nessuno capiva per tempo da che sala venisse l’allarme.

Avanzamento veloce di ventun anni, all’epoca della sciatteria, in cui nessuno sa più fare nessun lavoro, e il Louvre non ha uno straccio di telecamera e ha tolto i gioielli dalle vetrine antifurto che in caso di scasso li inghiottivano (un meccanismo che dev’essere cinemagenicissimo, invero degno del prossimo “Ocean’s”), per metterli in vetrinette dalle quali possa rubarli anche un ladro di polli, anche uno che non sa ballare.

Considerato che quella scena di “Ocean’s 12” era ambientata a Roma, una Parigi in minore, mi vien da pensare che i raggi laser allarmanti se li fosse inventati Steven Soderbergh, ottimista sul grado di difficoltà del fare una rapina nel ventunesimo secolo.

George Clooney qualche settimana fa ha detto che si sono messi d’accordo sui dettagli (cioè: sui soldi) e tra qualche mese gireranno il nuovo “Ocean’s”. Non ha detto dove fosse ambientato, ma io voglio sognare. Mi sto baloccando con l’illusione che ora il progetto sia in fase di riscrittura, perché la rapina era ambientata a Parigi, e si son resi conto che con le misure di sicurezza locali gli vien fuori un cortometraggio.