di
Massimo Franco

La pergamena, del 1530, è conservata nell’Archivio Vaticano: per scampare alla furia delle truppe napoleoniche venne nascosta in un cassetto segreto dietro a un trono. Legati al documento ci sono i sigilli in ceralacca dei notabili che sottoscrissero la richiesta al Papa Clemente VII: chi non la firmò venne mandato da re Enrico VIII al patibolo, o in cella

Nello studio del Prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano, tra i dipinti della scuola di Caravaggio, i tomi e i manoscritti, c’è un grande armadio appoggiato alla parete accanto alla porta d’ingresso. È anonimo ma contiene un pezzo unico, un tesoro: una pergamena del 1530 scritta in latino, col titolo «Sanctissimo in Chris». 

È la richiesta fatta a papa Clemente VII da duchi, marchesi, visconti, baroni, vescovi, arcivescovi, abati e teologi inglesi affinché dichiarasse l’annullamento del matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona: approvazione che non ci fu, dando inizio allo scisma anglicano in Inghilterra



















































Sembra che re Carlo e Camilla lo conoscano. Gliel’avrebbero mostrato durante una visita privata in Vaticano di alcuni anni fa, quando Carlo era solo aspirante al trono del Regno unito. Ma non esistono immagini di quell’avvenimento.

Ora che i reali inglesi si trovano di nuovo a Roma, quella pergamena nascosta diventa il simbolo di una riconciliazione storica. È davvero lo «scheletro nell’armadio» di un passato di guerre di religione che l’incontro tra Leone XIV e il re consegna alla storia e agli archivi. Perché per la prima volta dai tempi della Riforma anglicana un sovrano britannico prega in pubblico con un Pontefice nella cappella Sistina. E a Carlo, che è anche capo della Chiesa anglicana, verrà conferito il titolo di «Royal Confrater», confratello reale, dentro la Basilica di San Paolo fuori le Mura. In qualche modo, saranno quei gesti a consegnare definitivamente alla storia quella pergamena ingiallita. Fino a oggi, continuava ad avere una sinistra attualità.

E diventa inevitabile chiedersi come mai sia stata conservata proprio in quel luogo segreto e anonimo, cuore della memoria dei papati. E come abbia fatto ad arrivare quasi intatta fino al terzo millennio. Sembra che ne esistano una o due copie, in Inghilterra. Ma l’originale è quello dell’Archivio Apostolico, l’ex Archivio Segreto

Forse, il motivo è anche che quel documento del 1530 rappresenta una sorta di testimonianza delle capacità di sopravvivenza della Chiesa cattolica a invasioni e attentati alla sua integrità. Quando all’inizio dell’Ottocento le truppe napoleoniche saccheggiarono la Roma pontificia, cominciarono cercando il testo della scomunica che l’allora papa aveva comminato contro Bonaparte. E razziarono molti dei tesori come bottino di guerra per portarli a Parigi.

Ma la petizione per Enrico VIII si salvò. Essendo abbastanza grande, fu piegata e nascosta nel cassetto segreto ricavato dietro un enorme trono di legno, sistemato ancora oggi fuori dall’ufficio del prefetto dell’Archivio Apostolico. Per questo i soldati di Napoleone non la trovarono. E alcuni privilegiati possono ancora ammirarla, conservata nell’armadio. 

Appesi alla pergamena, grande circa un metro per mezzo metro, e scritta in latino con «toni supplici e insieme intimidatori», ci sono ottantacinque sigilli rossi di ceralacca che pendono da altrettanti cordini. Quando si chiedeva che cosa rappresentassero all’allora prefetto dell’Archivio, monsignor Sergio Pagano, sostituito dal luglio del 2024 da padre Rocco Ronzani, la risposta era dettagliata e un po’ inquietante, soprattutto per il finale.

«Sono le sottoscrizioni dei richiedenti corredate con i loro sigilli», spiegava il prefetto vaticano, illuminando con una minuscola luce elettrica quelle righe di inchiostro da amanuensi, ancora quasi intatto e leggibilissimo. Ma alcuni sigilli risultavano vuoti. Forse perché in cinquecento anni si erano rovinati, o persi? Non proprio. «Mancano i sigilli di quelli che si sono rifiutati di avallare la richiesta di Enrico VIII». E il re come reagì al diniego dei nobili? «Li mandò al patibolo o li fece incarcerare».    


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23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 12:47)