È nata a Palermo. E da lì ha conquistato il mondo. Lei è Myriam Sylla. Una vita che affonda le radici nel quartiere di Ballarò. Dopo aver conquistato tutto quello che c’era da vincere nella pallavolo, Myriam Sylla si è seduta davanti ai microfoni di Gianluca Gazzoli per una lunga e intensa intervista al celebre podcast The BSMT. 

La campionessa nata a Palermo l’8 gennaio 1995 e cresciuta in Lombardia ha ripercorso la sua straordinaria carriera, soffermandosi in particolare sul recente trionfo mondiale di Bangkok e sul significato profondissimo di quella medaglia d’oro che ha chiuso una ferita aperta da otto anni.

“A 5 anni – ha detto – sono andata via da Palermo e sono andata su al Nord”, racconta. Ha iniziato a giocare a pallavolo a 12 anni, dopo aver praticato danza classica: “Era il mio sogno fare la ballerina di danza classica”

La medaglia più importante

Proprio sul Mondiale conquistato a Bangkok in finale contro il Brasile che Sylla si è soffermata con maggiore intensità durante l’intervista, rivelando per la prima volta pubblicamente il peso emotivo che portava con sé da otto anni. “Questo mondiale è stato come un chiudere un cerchio”, ha spiegato la schiacciatrice del Vero Volley, ripercorrendo uno dei momenti più dolorosi della sua carriera.

Nel 2018 la nazionale italiana aveva raggiunto la finale mondiale contro la Serbia. Ma per Myriam quella non era una finale qualsiasi: “Nel 2017 mi venne fatta un’accusa di doping, poi venne fuori che era contaminazione alimentare. Nello stesso periodo scoprii che mia madre era malata. Io parto con un solo obiettivo nella testa: devo portare a casa alla mamma una medaglia d’oro”.

Arriviamo alla finale contro la Serbia, quinto set, ultimo punto. “Alzata posto quattro, Myriam Sylla attacca: invasione. Perso il mondiale. Finito”. Da quel giorno la campionessa ha vissuto con un peso: “Io mi ero allontanata, ho perso dei momenti importanti con una persona che è un pezzo, è tutto per me. Ho perso dei momenti che non recupererò mai più nella mia vita promettendo una cosa che non sono riuscita a mantenere e questa cosa mi ha veramente devastato”.

Per otto anni ha rincorso quella medaglia mondiale. E quando a Bangkok, nell’ultimo punto decisivo, ha messo il muro vincente, “ho messo il pezzo di puzzle che mancava. E poi ero vuota. Infatti non ho fatto niente, sono rimasta un po’ così perché tutti gli otto anni a rincorrere questa benedetta medaglia, avevo bisogno di togliermi dalle spalle questo peso”.

Un peso che non aveva mai condiviso pubblicamente: “Senza dirlo mai, vero? Non l’ho mai detto perché adesso lo posso dire tanto”. E aggiunge, con gratitudine: “Sono volati lì anche in maniera grata, nel senso: non fosse stato così l’avrei fatto. Chi lo sa? Sono grata, sono felice”.

Il rapporto speciale con Julio Velasco

Durante l’intervista, Sylla ha dedicato ampio spazio alla figura di Julio Velasco, l’allenatore che ha guidato la nazionale femminile ai trionfi olimpico e mondiale. E lo ha fatto con parole raramente sentite nel mondo dello sport: “Gli voglio bene, ma non gli voglio bene perché Velasco, gli voglio bene per quello che abbiamo vissuto insieme”.

“Ci sono stati due anni di crescita dove abbiamo imparato a conoscerci. Io lo rispetto tantissimo per quello che mi ha dimostrato, per quello che io ho visto, per quello che mi ha detto. Quando l’allenatore prende la fiducia di un atleta, di un giocatore, quando ci mette in campo io mi fido di lui”, ha spiegato la campionessa.

Velasco è stato fondamentale anche nei momenti di difficoltà. Sylla racconta di una partita mondiale in cui non era soddisfatta del suo attacco, nonostante avesse fatto bene in ricezione: “Lui mi ha detto: ‘Devi impararlo anche per la tua carriera. Abbiamo vinto con te, non malgrado te’. Cioè, hai contribuito”.

Un episodio che sintetizza il metodo Velasco: “Una cosa che mi piace immaginare: Julio è come un giocatore con in mano delle carte e lui sa come metterle giù e come incastrarle nella maniera corretta”. Sul segreto del suo successo, Sylla spiega: “Devi rendere consapevoli queste persone di quali sono i loro mezzi e cosa possono raggiungere con questi. Sicuramente non c’ha una bacchetta magica”.

Quanto al gruppo: “Era importante che noi creassimo la nostra bolla, il nostro spazio. Io proprio vivo in un altro mondo. Non so nemmeno cosa si dice in quel periodo. Vivo proprio la mia vita nazionale”. Una bolla che crea legami profondi: “Si impara a soffrire insieme. Durante gli allenamenti soffri, ci sono momenti difficili e lì costruisci il legame vero”.

La nuova avventura in Turchia

Attualmente Sylla gioca in Turchia, al Galatasaray, e l’impatto con la nuova realtà è stato intenso. “L’accoglienza perfetta, non me l’aspettavo così”, racconta tra aneddoti divertenti come quando ha perso l’auto nel parcheggio di casa: “Io che ne so che questo parcheggio ha quattro piani? Per me ce n’erano due. Ho attraversato praticamente tutti e quattro i piani a piedi fino a che non ho trovato la macchina. Sono arrivata in palestra in ritardo”.

E poi c’è l’episodio surreale: “Prima di una partita mi hanno chiuso in bagno. Mi hanno chiusa veramente in bagno. Ho dato due pugni alla porta”. Ma è il tifo a colpirla particolarmente: “Caloroso, caloroso. Sono rimasta affascinata quando sono entrata perché quando hanno iniziato con i cori hanno continuato tutto il tempo, non era solo l’inizio. Nel momento di difficoltà, nel momento in cui andava bene”.

Le origini: da Palermo a Lecco

Sylla è nata a Palermo nel quartiere di Ballarò. Il salto di qualità arriva a 16 anni grazie a Virgilio Bonacina, dirigente di Olginate: “È un angelo, quest’uomo. Venne a casa e parlò con mio padre: ‘Tua figlia ha un potenziale, io la manderei. Io ti parlo come se Miriam fosse Debora, che è mia figlia. Se Miriam fosse Debora, io l’avrei mandata a provare. Se non va, torna indietro'”.

Così parte per Jerago con Orago, Varese. Prima compagna di camera? “Cristina Chirichella”, l’attuale capitana della nazionale. Un allenatore le disse: “Tu con questo lavoro potresti aiutare i tuoi genitori”. Da quel momento: “Ok, io con questo lavoro posso aiutare mamma e papà. Io divento una giocatrice. Lo stimolo più grande era rendere i miei genitori orgogliosi di me e permettergli che non gli mancasse niente, perché loro non hanno fatto mancare niente a me”.

Il rapporto con il padre e la perdita della madre

Il tema della famiglia è centrale nell’intervista. Sul padre: “Io devo tutto a loro. Non so spiegarti questa sensazione che provo dentro per l’immenso rispetto che ho per mio padre. Ha lasciato casa sua, ha lasciato un posto dove potenzialmente poteva fare una vita tranquilla per dare qualcosa di meglio a me”.

La madre se n’è andata nel momento in cui Myriam voleva farle “il regalo più grande che si meritava, vale a dire una casa. Ci sono riuscita, ma con una lezione: la vita va vissuta, non devi aspettare perché aspettare non serve a niente, non c’è tempo per aspettare”.

E aggiunge: “I momenti belli, beh, la conosco. Tu sai cosa pensava, cosa provava, cosa voleva. E io so, lo sento quando è contenta, lo sento quando è felice. Non c’è giorno che io cammino con una marcia in più, ho una roba in più, ho un angelo”. Dopo le Olimpiadi, il padre le ha detto “che ho reso fiero lui e ho reso fiera mia mamma che non c’era”. E quando ancora dopo dieci giorni le ripete di essere orgoglioso, “vale troppo”.

Il gruppo azzurro e le amicizie

Sul gruppo della nazionale, Sylla è chiara: “Non serve essere amici per giocare bene. Quando tu sei sul campo non c’entra niente l’amicizia. Quando tutti remano dalla stessa parte il legame si crea, è inevitabile”. Con Anna Danesi, capitana della nazionale, c’è un rapporto speciale: “Alessia è proprio la mia migliore amica oltre la pallavolo. Con lei purtroppo ce l’ho anche nella vita”, scherza.

Sui colleghi della nazionale maschile, che circa un mese dopo hanno vinto il secondo mondiale consecutivo: “Stimo Anzani e Simone Giannelli, li conosco bene”. E sull’infortunio di Daniele Lavia prima delle Olimpiadi: “Mi è dispiaciuto molto. Momento importantissimo, ci si sta preparando per andare a una competizione incredibile, infortunio dove non puoi recuperare e quasi ci rimetti la carriera. E i tuoi compagni vanno e vincono, tu potevi essere lì, saresti stato lì”.

“Sono grata a me stessa”

Un passaggio significativo riguarda il rapporto con se stessa. Dopo aver dichiarato ai giornalisti di aver vinto tutto, Sylla riflette: “Forse è la prima volta che sono stata estremamente onesta. Per la prima volta mi sono detta brava, ma forse lo dovrei fare più spesso. Ho iniziato un percorso quest’estate con la mia psicologa per essere più grata a me, essere orgogliosa di quello che sono. Continuo a rincorrere come se dovessi meritarmi sempre tutto”.

fonte LeccoToday