
Paolo Di Paolo e sua figlia Silvia. Roma, 2017 © Fotografia Bruce Weber
NEL CENTENARIO DELLA NASCITA di Paolo Di Paolo, il più grande maestro della fotografia italiana del Novecento, Palazzo Ducale di Genova ospita dal 23 ottobre 2025 al 6 aprile 2026 la mostra Paolo Di Paolo. Fotografie ritrovate, realizzata in collaborazione con Marsilio Arte. Il grande artista, riprese in mano la macchina fotografica dopo 50 anni proprio per noi, di Style Magazine, nel 2019.
Paolo Di Paolo. Fotografie ritrovate: la mostra a Genova e la collaborazione con Style Magazine
La retrospettiva di Genova riporta alla luce una parte del vasto archivio del fotografo rimasto nascosto per decenni: 300 immagini, molte inedite e a colori, che raccontano l’Italia del Dopoguerra attraverso lo sguardo delicato e partecipe di Di Paolo. La mostra, curata da Giovanna Calvenzi e dalla figlia del fotografo Silvia Di Paolo, ritrovatrice del famoso archivio e artefice della riscoperta del lavoro del padre, presenta anche un focus speciale dedicato a Genova e alla Liguria. Terre più volte ritratte da Di Paolo, che nel 1969 abbandonò improvvisamente la scena, colpito fa una profonda crisi personale e professionale che non lo fecero più tornare dietro l’obiettivo. Se non per Style Magazine.
Da Pier Paolo Pasolini ad Anna Magnani, da Lucio Fontana a Giorgio de Chirico, da Sophia Loren a Marcello Mastroianni sono tanti anche i volti celebri che Di Paolo ritrasse negli anni della sua attività. Attività svoltasi perlopiù per il settimanale Il Mondo diretto da Mario Pannunzio – dove pubblicò 573 in circa 14 anni – e per il Tempo. In mostra, vediamo anche i suoi famosi reportage. Della retrospettiva abbiamo parlato con la figlia.
Fotografia: Silvia Di Paolo e il grande tavolo luminoso del padre
Mi racconta una memoria della sua infanzia: lei, con suo padre…
Da bambina, trascorrevo spesso lunghi pomeriggi nello studio di mio padre. Lavorava come art director per l’Arma dei Carabinieri. In un’epoca in cui i computer ancora non c’erano, ricordo il suo grande tavolo luminoso. Lo aiutavo a impaginare i menabò delle pubblicazioni che curava, usando colla e forbici. Mi lasciava disegnare con i pennarelli Pantone e mi divertivo a usare la sua macchina da scrivere Olivetti. Nonostante fosse una persona solitaria, era felice della mia compagnia e del mio interesse per il suo lavoro, che mi spiegava con entusiasmo.

Paolo Di Paolo by Bruce Weber, 2017 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Mi descrive com’era Paolo Di Paolo come uomo e cosa ritrova di lui nei suoi scatti?
Mio padre era un uomo autoritario, burbero e irascibile. Ma anche tenero e affettuoso. Ironico, colto e raffinato, estremamente riservato, elegante nei modi e nel linguaggio. Un lavoratore infaticabile, geniale, ricco di inventiva e abile nei lavori manuali. Nelle sue fotografie ritrovo soprattutto l’ironia e la sua capacità elegante di raccontare. Un talento sicuramente innato, nonostante le umili origini contadine, ma anche influenzato dai suoi studi filosofici, che gli hanno permesso di andare oltre l’immagine. Scoprire il suo archivio fotografico è stata, inizialmente, una grande sorpresa. Frequentavo l’ultimo anno di liceo e lui non ne aveva mai parlato. Dallo stupore iniziale sono passata attraverso diverse fasi. La curiosità, la lotta contro la sua reticenza, perfino la rabbia. Sono passati oltre vent’anni da quel momento. Oggi sono la curatrice e l’archivista di un tesoro composto da 250.000 negativi che mi ha affidato, e ho il privilegio di fare straordinarie scoperte ogni giorno.
Ogni fotografia diventa un racconto
Può introdurre ai lettori di Style che cosa troveranno nella mostra di Palazzo Ducale a Genova?
La mostra ripercorre il singolare percorso professionale e personale di mio padre, attraverso oltre 300 fotografie – in gran parte inedite – accompagnate da video, materiali d’archivio e preziose riviste d’epoca. Una delle scoperte più recenti e sorprendenti riguarda le immagini dei suoi esordi: era il 1953, quando acquistò a rate una Leica IIIC e, da autodidatta, iniziò a esplorare le periferie di Roma con il suo obiettivo. Insieme a Giovanna Calvenzi – co-curatrice della mostra Fotografie ritrovate e dell’omonimo volume antologico edito da Marsilio – siamo partite proprio da questi primi esperimenti. Quasi astratti e informali, rivelano già uno sguardo estremamente originale. Il percorso della mostra prosegue con un ampio spazio dedicato alla collaborazione di Paolo Di Paolo con la rivista Il Mondo. È proprio attraverso questo rapporto che riesce a esprimersi con maggiore libertà, definendo un suo stile personale. Uno stile in cui il soggetto è sempre al centro dell’immagine, costruita con rigore geometrico e armonia compositiva. Ogni fotografia diventa così un racconto, capace di evocare emozioni.

Il Mondo, 1961 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Cosa cerca di raccontare – e preservare, in un certo senso – di suo padre e della sua arte attraverso il “medium mostra”?
Attraverso questa mostra è bello poter svelare al pubblico un autore ancora in parte sconosciuto, nonostante oggi Paolo Di Paolo sia celebrato tra i grandi maestri della fotografia. Al di là della straordinaria bellezza delle immagini esposte, l’intento è anche quello di raccontare un periodo storico cruciale. In soli 15 anni di attività – dal 1953 al 1968 – mio padre è riuscito a cogliere, con grande sensibilità e profondità, i cambiamenti storici e culturali di un’epoca: dalla povertà e dalle macerie lasciate dalla guerra al boom economico, in Italia e all’estero. Ha avuto accesso a eventi privati ed esclusivi, come i balli dell’aristocrazia o la caccia alla volpe. Ma ha anche raccontato la vita nelle fabbriche, le condizioni dei detenuti, l’emancipazione femminile. Ha ritratto star internazionali in contesti intimi e inaspettati, e documentato con spirito giornalistico grandi manifestazioni pubbliche, tra cui l’inaugurazione dell’Autostrada del Sole nel 1964.

Paolo Di Paolo, Inaugurazione autostrada del Sole, 1964 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
I funerali di Palmiro Togliatti e quella donna sola
Tra le immagini più potenti esposte in mostra ci sono quelle dei funerali di Palmiro Togliatti. Mio padre raccontava così quell’esperienza: «Ero tornato apposta dalla Sardegna, dove ero in vacanza. Per un fotografo sarebbe stato grave non essere presente e documentare un avvenimento del genere. Una situazione da brividi: Roma era terrorizzata. Bandiere a mezz’asta, saracinesche abbassate, negozi chiusi. Un immenso corteo, straziato dal dolore, accompagnava le spoglie di Togliatti per il centro di Roma, in un silenzio irreale, nonostante la presenza di milioni di persone. Schieramenti di sindaci, capi di partito, la massa unita e commossa, la grandiosità delle corone di fiori… Ma ciò che mi colpì di più fu un’anziana donna, sola, con due gladioli in mano, chiusa nella sua commozione. È una delle fotografie di cui sono più orgoglioso. Non ho pubblicato nulla di quel servizio, e sono tornato in Sardegna».

Funerali di Palmiro Togliatti. Roma, 1964 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Le sue memorie sul mio telefono
Insieme alla mostra verrà pubblicato per Marsilio un romanzo ispirato alla scoperta dell’archivio di suo padre. Qual è il perno narrativo attorno a cui l’ha costruito?
Dopo l’uscita del bellissimo documentario che Bruce Weber ha dedicato a mio padre, The Treasure of His Youth, moltissime persone mi hanno scritto, colpite dalla nostra storia. In tanti mi hanno chiesto di saperne di più, qualcuno pensava addirittura fosse un’invenzione. Mi hanno persino chiesto di pensare a un adattamento cinematografico. Ho avuto la fortuna di passare moltissimo tempo con mio padre, e fino agli ultimi giorni — è scomparso due anni fa, a 98 anni — ha conservato una memoria vivida e una lucidità impressionante. Così, negli ultimi anni, ho cominciato a registrare le sue memorie sul mio telefono. Il romanzo inizia con il mio racconto in prima persona: “Ho 18 anni. Sono in cantina cercando gli sci e vedo una strana cassettiera, con tanti cassettini pieni di negativi fotografici. Corro da mio padre a chiedergli se avesse comprato un vecchio archivio al mercatino. Lui, sbrigativo: «No, è roba mia. Lascialo stare dov’è»”. Quello è stato il momento in cui tutto è iniziato. Nel libro racconto il padre che è stato, o meglio, che credevo fosse. Ci sono voluti anni di insistenza per fargli aprire quel cassetto anche metaforico sulla sua vita precedente, su quel passato da fotografo che aveva scelto di seppellire.

Puglia, Trani, Il padre della sposa © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Più grande fotografo italiano del Novecento
Cosa l’ha emozionata e la emoziona di più del lavoro di suo padre? Quale secondo lei è la sua importanza nella storia della fotografia?
A maggio 2023, pochi giorni prima della sua scomparsa, l’Università La Sapienza di Roma gli ha conferito la Laurea ad honorem in storia dell’arte, celebrandolo come più grande fotografo italiano del ‘900. La sua importanza umana e professionale è racchiusa simbolicamente in questo: nel non cercare visibilità e fama, di essere consapevole del proprio talento senza desiderio di mettersi in mostra e di essere protagonista. Diceva: «Ho attraversato quel periodo tutto d’un fiato, cercando di rimanere sempre in ombra. Sentivo l’urgenza di fare fotografie e le facevo perché mi piaceva farlo, tutto qui». Credo che il suo valore come fotografo stia nella capacità di aver raccontato, con sensibilità e intelligenza, un momento storico straordinario. Quello che è accaduto in Italia (e non solo) dal Dopoguerra alla fine degli anni 60 è considerato irripetibile per la cultura, la politica, il design, la moda, lo sviluppo industriale. Le rivoluzioni sociali e il cinema. Mio padre ha saputo osservare e documentare tutto questo con uno sguardo personale, inconfondibile. Dove l’estetica non è mai fine a sé stessa, ma sempre parte del racconto.

Paolo Di Paolo, Marcello Mastroianni, Mensa di Cinecittà, 1955 ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Da Brigitte Bardot a Marcello Mastroianni, ma anche Giuseppe Ungaretti e molti altri… Suo padre ha ritratto molti dei personaggi più di spicco della sua epoca. Gliene ha mai parlato?
Dopo tante insistenze alla fine ha ceduto ai racconti. E con una memoria vivissima si divertiva a rivivere momenti straordinari, come l’incontro con Anna Magnani, che presto diventa un’amica. E lo invitò nella sua villa a Punta Rossa Circeo, per essere ritratta per la prima volta insieme al figlio Luca. «Ho fotografato Anna in tante situazioni negli anni. Con Pasolini, con Tennesse Williams, in casa, anche con i bigodini in testa e in pantofole. Lei si fidava di me e sapeva che non avrei mai dato ai giornali una foto che non le rendesse giustizia.

Anna Magnani e Tennessee Williams. Tor San Lorenzo 1955 ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
La fotografia dei tre bambini
C’è uno scatto a cui è particolarmente affezionata?
Qualche anno fa stavo sfogliando gli originali della rivista Il Mondo quando mi sono imbattuta in una fotografia che mi ha molto colpito. Ritrae tre bambini sulla collina di Monte Mario che guardano Roma, con la cupola di San Pietro sullo sfondo. Sotto c’era la firma di mio padre. Gliela mostrai, tutta entusiasta, e lui mi disse: «No, no, non mi sembra sia mia. Non me la ricordo, magari Pannunzio si è sbagliato e ha messo il mio nome». Io però mi ero fissata: quella foto era troppo bella, e ho deciso di cercarla in archivio, giorni e giorni a sfogliare i provini a contatto. Alla fine l’abbiamo trovata, ed è oggi l’immagine simbolo della mostra di Genova, con una gigantografia all’ingresso. È una foto che amo moltissimo, piena di speranza, di sogno e di poesia.

Paolo Di Paolo, Roma, I Piccoli Guerrieri di Monte Mario, 1954 ©Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Qual è stato il rapporto di Paolo Di Paolo con la Liguria, che ospiterà la mostra e di cui verrà esposta una selezione di scatti?
È il mese di giugno del 1959, un giovane fotografo e un “promettente scrittore” (Paolo Di Paolo e Pier Paolo Pasolini), partono da Ventimiglia, per realizzare insieme il reportage La lunga strada di sabbia. Doveva documentare, lungo le coste della penisola, la scoperta delle vacanze estive da parte degli italiani. In questa occasione Paolo Di Paolo scopre la Liguria e ne cattura il bel paesaggio, popolato di donne eleganti che giocano a carte o passeggiano per Portofino, giovani allegri che fanno sci nautico, anziani solitari che pescano sugli scogli. Dedicherà poi la sua attenzione a Genova in occasione di un’inchiesta su L’Italia in automobile per Tempo. Nel 1964 venne incaricato di realizzare poi una serie di servizi fotografici dedicati all’industria italiana: lavorò a lungo nei cantieri navali dell’Ansaldo.

Santa Margherita Ligure, 1959 © Archivio Fotografico Paolo Di Paolo
Una grande storia d’amore
Che cosa è stata la fotografia per suo padre e cos’è per lei?

Credo che per mio padre la fotografia sia stata come una grande storia d’amore, con tutte le sue fasi. Il colpo di fulmine, la passione, il divertimento, ma anche la delusione, la negazione e il desiderio di dimenticare. Fotografare era per lui una fonte di gioia e di entusiasmo febbrile. Per questo si è sempre definito un “dilettante” nel senso più autentico del termine. Colui che fa qualcosa per diletto, per piacere. Quando quel piacere è venuto meno — a causa dei cambiamenti nel mondo dell’editoria, dell’informazione, del linguaggio visivo, con la televisione che prendeva il sopravvento sulla carta stampata e l’immagine del fotografo distorta dal fenomeno dei paparazzi — anche il suo grande amore si è interrotto. E, come spesso accade dopo una rottura dolorosa, ha scelto di non parlarne più. Per me, le sue fotografie sono un’esplosione di gioia: dentro ci sono la sua curiosità, il suo sguardo pieno di stupore, il piacere quasi infantile di osservare il mondo. Spesso, guardandole, provo una strana nostalgia per un’epoca che non ho vissuto. Un tempo fatto di eleganza, di semplicità, ma anche di grandi speranze.