L’ex attaccante racconta la sua storia: “In Brasile non mi considerava nessuno, stavo per mollare. In Toscana la mia vita cambiò. Ci fu un periodo in cui mi volevano tutte, comprese le big della Premier. Ho pianto per la Nazionale”
Lorenzo Cascini
24 ottobre 2025 (modifica alle 10:09) – MILANO
Il primo assist della vita gliel’ha servito un rifiuto. “Sei bravo, ma cerchiamo un giocatore più esperto”. Il viaggio di Amauri nel mondo del calcio parte così, da una porta presa in faccia in Brasile e da un ultimatum. “Vado al Torneo di Viareggio e mi prometto che sarebbe stata l’ultima spiaggia”. Invece va tutto bene e inizia un’altra vita. Un lungo Giro d’Italia che l’ha visto esplodere a Verona con la maglia del Chievo, consacrarsi a Palermo e arrivare a segnare al Real Madrid con la Juventus. Poi la Nazionale, la salvezza con il Parma e tanto altro. Durante la chiacchierata l’ex attaccante analizza tutto con grande lucidità. Si apre, racconta aneddoti, tra stranezze dei suoi presidenti e flirt di mercato sfumati all’ultimo.
“Mou voleva portarmi al Bernabeu, Ancelotti mi aveva messo in cima alla sua lista per il dopo Inzaghi”.
Amauri, partiamo dall’inizio. Ha mai avuto paura di non farcela?
“Eccome. In Brasile non mi voleva nessuno. L’Italia e il torneo di Viareggio mi hanno cambiato la vita. Era il 2000. Io avevo 19 anni e mi ero promesso che se non fosse andata pure in quel caso sarei tornato a casa e avrei mollato tutto. In famiglia serviva una mano e non potevo perdere altro tempo”.
Invece ce l’ha fatta. Quando si è reso conto di poter dire la sua in Serie A?
“Direi al secondo anno al Chievo. Ero dominante. E da lì hanno iniziato anche gli altri a considerarmi in modo diverso. Pensate, mi chiamarono Liverpool e Arsenal”.
Mi resi conto del mio valore col Chievo. Mi cercarono anche Arsenal e Liverpool
E perché non si concretizzò?
“Per problemi burocratici. Al tempo ero extracomunitario e non mi presero. Sarebbe stato bello giocare ad Anfield, segnare sotto la Kop”.
Guidolin disse che assomigliava a Drogba. Esagerava?
“No, era vero. Segnavo in ogni modo ed ero uno degli attaccanti più forti della Serie A. Ma me lo disse anche Didier. Ci incontrammo a Londra e prima della partita mi rivelò che mi seguiva e mi stimava. Aveva letto sui giornali che in Italia mi paragonavano a lui”.
Di Zamparini che ricordo ha?
“Un presidente speciale, esuberante. Mi prese venendomi a prendere a Verona in aereo. In conferenza faceva il pazzo, poi veniva in spogliatoio e ci diceva di non leggere quello che raccontava ai giornalisti”.
“Una volta. Perdemmo tre a zero a Genova con la Samp, lui entrò in spogliatoio furioso e ci portò delle scatole con dei regali. Nella mia c’era una sciarpa. “Così vi ricorderete per sempre la figura di merda che avete fatto”, ci urlò. Io gli risposi di lasciarla lì e me ne andai. Da lì, abbiamo iniziato a vincere spesso”.
Si dice che dopo il primo anno a Palermo fu vicino alla Roma.
“Sì, ma non c’erano solo i giallorossi. La Roma mi cercò e Baldini, il vice di Spalletti, mi disse che sarei stato perfetto per fare coppia con Totti e che anche Francesco sarebbe stato contento. Mi voleva pure il Milan: Ancelotti mi aveva messo in cima alla sua lista per il dopo Inzaghi”.
Invece andò alla Juve.
“Un mondo bellissimo, diverso. C’era una cultura della vittoria difficile da spiegare. Io giocavo in un attacco stellare con Trezeguet, Del Piero e Iaquinta. Conservo ricordi stupendi, su tutti la vittoria col Real. Segno il 2-0, un sogno”.
Già, il Real Madrid. Sui giornali spagnoli in quegli anni si diceva ci fosse la possibilità di vederla al Bernabeu…
“È vero, era un desiderio di Mourinho. Tramite Bronzetti mi fece sapere che mi avrebbe voluto nel suo Real. Ma sa, io alla Juve giocavo e stavo bene, non ci pensavo”.
Grazie alla Juventus nel 2010, si prese la Nazionale italiana. Ricorda il giorno della convocazione?
“Certo, saprei dirle ogni dettaglio di quei giorni. Andai a Coverciano in macchina con Marchisio e piansi per tutto il viaggio: mi passò davanti il film della mia vita. La storia di un ragazzino partito dalla periferia di San Paolo, senza possibilità, arrivato a giocare nella Juve e a rappresentare la Nazionale italiana. Me lo avessero detto dieci anni prima, mi sarei fatto una risata”.
Poi, però, i bianconeri scelsero di non tenerla.
“Avevano altre idee, chi mi aveva portato a Torino non c’era più. Fu una scelta della società, mentre a Conte piacevo. Mi prese da parte e mi disse ‘per me partite tutti da zero, giocati le tue carte’. Diciamo che non me ne fu data l’occasione. Sono finito fuori rosa ad allenarmi con i ragazzini, una brutta chiusura”.
Quindi, una nuova rinascita a Parma. Bisogna dire grazie a una telefonata, vero?
“Sì, fu una chiamata di Crespo che mi convinse ad accettare. Mi disse ‘se vieni tu, salviamo questa squadra’. E così fu. Segnai tantissimo ed evitammo una retrocessione che sembrava scritta. Mi ero anche ripreso la Nazionale, Prandelli mi aveva chiamato. Peccato quell’infortunio con l’Udinese…”
Se tornassi indietro mi gestirei meglio. Dopo l’infortunio con l’Italia ci giocai sopra e per quattro mesi fui un fantasma
Potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa?
“Sì, qualcosa sì, soprattutto nelle scelte. Mi gestirei meglio. Per esempio, nel 2010, dopo l’esordio con l’Italia mi feci male e invece di fermarmi continuai a giocarci sopra. Ho fatto quattro mesi da fantasma, andando in campo con i dolori e finendo a scontrarmi con i tifosi della Juventus”.
Ha avuto tanti partner d’attacco in carriera. Se ne dovesse scegliere un paio?
“Il primo che dico è senza dubbio Del Piero. Il compagno d’attacco perfetto. Uno che non ti fa mai sentire la sua grandezza. Poi non posso non menzionare Miccoli. Io e Fabrizio ci siamo trovati subito, un’intesa innaturale. Siamo stati i re di Palermo”.
Magari ci potrà essere un altro Amauri che diventerà un idolo della città in futuro…
“Mio figlio Hugo… magari. È un 2008 e gioca nella Primavera del Palermo. Lo seguo tanto, gli dò consigli, ma deve stare sereno e pensare solo a dimostrare il suo valore”.
Lei ha smesso nel 2017 e non è più rientrato nel calcio. Le manca?
“No, ho avuto qualche possibilità ma ho preferito fare altre scelte. Seguo solo mio figlio, non mi vedo in un ruolo come l’allenatore al momento. Poi, in futuro, chissà…”
“Ho un ristorante e produco vini e birre. Vivo a Miami, ma giro molto. Sono una persona curiosa, ho sempre avuto tante passioni e adesso le sto realizzando tutte”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA