La procura di Torino ha aperto un nuovo fascicolo d’indagine nell’ambito della maxi inchiesta sui conti della Città della Salute, la più grande azienda ospedaliera del Piemonte. Il nuovo filone riguarda le attività svolte in convenzione con la clinica Fornaca, struttura privata del gruppo Humanitas. Il procedimento è affidato ai pubblici ministeri Mario Bendoni e Giulia Rizzo, già titolari del fascicolo principale sul buco di bilancio dell’azienda.

Al centro dell’indagine, ci sono interventi sanitari eseguiti in regime di intramoenia allargata da parte di medici dipendenti di strutture pubbliche, in particolare Molinette e CTO. Secondo quanto emerso, gli interventi venivano fatturati al massimo delle tariffe previste dai rimborsi assicurativi, ma una parte consistente dei costi ricadeva poi sul bilancio dell’ospedale pubblico. In più, le parcelle sarebbero state in numerosi casi versate direttamente ai professionisti, eludendo i canali ufficiali e i conti dell’azienda sanitaria.

Secondo gli inquirenti, i medici coinvolti sarebbero parecchi. Un numero ancora in fase di definizione, ma sufficiente a ipotizzare una rete estesa di relazioni professionali, accordi economici e flussi finanziari fuori controllo. Se le ipotesi investigative troveranno conferma, l’intera vicenda potrebbe assumere i contorni di una vera e propria “Sanitopoli” torinese, con conseguenze giudiziarie, amministrative e politiche di ampia portata.

Nei giorni scorsi, la Guardia di Finanza ha eseguito perquisizioni e acquisizioni documentali presso la sede della clinica Fornaca. Al momento non risultano indagati, ma gli accertamenti sono in corso e gli atti raccolti verranno analizzati nelle prossime settimane. I reati ipotizzati sono peculato e false attestazioni.

Il fascicolo sulla Fornaca si affianca al procedimento principale, che ha già superato la fase delle indagini preliminari ed è stato trasmesso al giudice per l’udienza preliminare. Secondo fonti giudiziarie, in procura sono aperti almeno una decina di fascicoli relativi alla gestione economica della sanità piemontese. Diversi di questi hanno preso avvio proprio dalle dichiarazioni rese da ex dirigenti della Città della Salute, alcuni dei quali rischiano ora il rinvio a giudizio.

Sul piano amministrativo, resta in piedi la trattativa tra il commissario straordinario Thomas Schael e il gruppo Humanitas per il rinnovo della convenzione. Il contratto attuale scade il 31 luglio. Una proroga tecnica fino al 15 settembre è stata disposta per garantire la continuità assistenziale.

A confermarlo è una dichiarazione ufficiale rilasciata dalla Direzione aziendale della Città della Salute.

«Appreso da notizie odierne di stampa relative ad indagini in corso sulla clinica Fornaca, la Direzione aziendale della Città della Salute e della Scienza di Torino (CDSS) comunica che nulla cambia nell’iter avviato che prevede la proroga della convenzione con la clinica Fornaca fino al 15 settembre. Tutti i pazienti già prenotati presso la Clinica o intenzionati a rivolgersi ai professionisti di CDSS e alla clinica in intramoenia allargata possono continuare a farlo. Nulla cambierà nella programmazione delle attività. La Direzione strategica CDSS adotterà nelle prossime ore una delibera in tal senso su quanto sopra scritto e ripone piena fiducia nelle indagini della Procura della Repubblica di Torino, nei suoi professionisti eventualmente indagati e nel management della clinica Fornaca del gruppo Humanitas».

Intanto, il commissario Schael ha sospeso l’approvazione del bilancio consuntivo 2024. La decisione è maturata dopo una prima verifica che ha evidenziato criticità contabili e amministrative. Il documento è stato affidato per l’analisi a consulenti esterni, incaricati di approfondire ogni passaggio in vista di una possibile approvazione nei prossimi mesi.

Il quadro che emerge è quello di un sistema opaco e fragile, dove pubblico e privato si intrecciano in modo non sempre lineare. Le prossime settimane saranno decisive per comprendere se quanto emerso finora rappresenti solo una deviazione marginale o l’inizio di uno scandalo più ampio destinato a colpire il cuore del sistema sanitario piemontese.

Ci siamo stufati. Davvero. Basta con questo sistema ipocrita chiamato intramoenia. Basta con i medici che stanno in ospedale al mattino — quando va bene — e al pomeriggio spariscono, inghiottiti dalle cliniche private, dagli studi personali, dalle agende piene di visite da 250 euro a botta. È tempo di una scelta netta. È tempo di una legge che imponga a ogni medico di decidere: o lavori per il Servizio Sanitario Nazionale o ti metti nel privato. Le due cose insieme non reggono più. E non da adesso.

Perché la verità, che nessuno ha il coraggio di dire con chiarezza, è che negli ospedali pubblici non c’è più nessuno. Reparti fantasma, corridoi deserti, ambulatori chiusi “per mancanza di personale”. Non serve una commissione parlamentare per capirlo. Basta un solo pomeriggio passato in un qualsiasi ospedale italiano per rendersi conto della realtà: i malati vengono abbandonati. I turni sono scoperti. Gli infermieri fanno miracoli. I giovani medici, quelli rimasti, si arrangiano. E chi può permetterselo — cioè pochi — paga per saltare la fila, paga per vedere il luminare, paga due volte, paga di tasca sua mentre le tasse finanziano un sistema che resta vuoto.

Ecco allora il paradosso: lo Stato forma medici bravissimi, li accompagna per anni con soldi pubblici, li assume, li promuove. Ma poi li lascia liberi di monetizzare il loro nome nel pomeriggio, quando dovrebbero essere al servizio di tutti. Gli dà persino la cornice legale per farlo: l’intramoenia. Un’idea all’inizio pensata per trattenere i migliori nella sanità pubblica, ma che si è trasformata in un alibi per moltiplicare gli introiti e dimezzare la presenza.

È un sistema immorale e iniquo, che premia chi ha già potere e nomina, e lascia ai margini i giovani medici. Quelli che vorrebbero lavorare negli ospedali, ma non trovano spazio, non vincono concorsi, non entrano nelle corsie perché lì ci sono già loro: i primari eterni, i baroni, quelli che “solo io posso operare”, quelli che se non li paghi privatamente “non c’è posto fino a novembre”.

E allora diciamolo una volta per tutte: se sono così bravi, se si sono costruiti un nome, vadano pure nel privato. Aprano cliniche, facciano carriera, diventino imprenditori della salute. Ma lascino il posto nel pubblico. Lascino spazio a chi ha vent’anni meno di loro, a chi vuole restare in Italia, a chi non chiede altro che un contratto dignitoso per non emigrare in Germania, in Francia, in Svizzera. Perché oggi la sanità pubblica si svuota, e l’intramoenia è parte del problema.

Non è più solo una questione economica. È una questione di giustizia sociale. Non si può continuare a far finta che tutto vada bene mentre il diritto alla salute viene eroso ogni giorno. Non possiamo più tollerare che chi ha un tumore o una patologia cronica debba scegliere tra mesi di attesa o visite private costosissime fatte dagli stessi medici che la mattina lo avrebbero potuto vedere gratuitamente — se solo ci fossero stati.

Serve una riforma vera. Serve una legge nazionale che dica basta alla doppia poltrona, che metta fine all’ambiguità. Un medico, un chirurgo, un dirigente sanitario deve poter scegliere: o sei dentro il servizio pubblico, e ti dedichi a quello, con orari, responsabilità e presenze certe. Oppure esci, e ti giochi il tuo nome nel mercato, come fanno tanti altri professionisti. Ma non puoi stare con un piede in ospedale e uno in clinica, non puoi usare il pubblico come vetrina per vendere meglio il tuo marchio privato.

Chi davvero tiene alla sanità pubblica, chi ci crede ancora, deve avere il coraggio di dirlo. E chi invece pensa solo ad arricchirsi, abbia almeno l’onestà di andarsene.
Una volta per tutte.