di
Giovanni Bianconi

Il guanto era la sola traccia lasciata dagli assassini del fratello del presidente della Repubblica: preziosissima ma incredibilmente scomparsa

Era una «fonte di prova» talmente importante, che a quarantott’ore dall’omicidio l’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni riferì in Parlamento: «Sulla Fiat 127 usata dai killer è stato trovato un guanto, unico oggetto che potrebbe appartenere ai killer»; la sola traccia lasciata dagli assassini ancora sconosciuti di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione siciliana — fratello dell’attuale capo dello Stato — ucciso a Palermo la mattina del 6 gennaio 1980. Preziosissima, ma incredibilmente scomparsa. Fatta deliberatamente sparire attraverso un depistaggio di cui è ora accusato l’ex poliziotto della Squadra mobile palermitana (poi promosso questore e prefetto, oggi in pensione) Filippo Piritore, 74 anni, da ieri agli arresti domiciliari.

Del guanto destro di pelle marrone lasciato sul pianale dell’auto rubata e abbandonata dai sicari dopo la fuga esistono una fotografia, l’affermazione di Rognoni e qualche riferimento in alcuni atti di polizia firmati anche da Piritore, tra i primi a raggiungere il luogo dove fu ritrovata la 127. Niente più. Come fosse evaporato, nonostante le ricerche riprese dalla Procura di Palermo dopo la riapertura dell’inchiesta nel 2017.



















































Dagli archivi della Questura è saltata fuori solo qualche carta, tra cui una relazione della Squadra mobile con un appunto a mano siglato dallo stesso ex poliziotto oggi indagato, in cui è scritto «Consegnato 7-1-80 alla guardia Di Natale, Scientifica, per il dottor Grasso», cioè Pietro Grasso, l’ex magistrato futuro presidente del Senato che allora, da pubblico ministero, condusse le prime indagini; Giuseppe Di Natale, invece, era in servizio al Gabinetto della polizia scientifica di Palermo.

La nuova indagine

Interrogato a settembre dello scorso anno come testimone, Piritore ha confermato: «Sono certo di avere dato il guanto al Di Natale… Posso dire con certezza che la direttiva di consegna del guanto al dottor Grasso proveniva da lui, non ricordo se impartita direttamente o mi fu riferita».
L’ex poliziotto ha pure riconosciuto un appunto da lui sottoscritto per la Digos, in cui sostiene che tutto il materiale trovato dentro la macchina fu consegnato alla Digos «ad eccezione del guanto di pelle marrone che è stato consegnato al sost. proc. Dr. Grasso». Ma per la Procura è un falso, come false sono le dichiarazioni di Piritore. Perché gli altri oggetti rivenuti nella 127 furono restituiti al proprietario dell’auto dalla Mobile e non dalla Digos; e soprattutto perché sia Di Natale che Grasso hanno negato di avere ricevuto quel guanto. Il primo dice di avere conosciuto Piritore solo di nome, e che mai ha incontrato Grasso.

Il secondo ha dichiarato: «Nulla ho mai saputo del ritrovamento di un guanto, apprendo solo ora tale circostanza». Ha aggiunto di non avere mai visto le carte firmate da Piritore, escludendo «di avere impartito disposizioni alfine di farmi personalmente consegnare il guanto in questione, del resto non ve ne era alcuna ragione investigativa per riceverlo. Se il guanto fosse stato consegnato presso il mio ufficio, si troverebbe un atto di ricevuta da parte mia o della mia segreteria». Ma non c’è.

I sospetti di Grasso

Per Grasso questa vicenda «rappresenta l’ennesima “anomalia” di quel procedimento», caratterizzato da molti altri inquinamenti che hanno ostacolato le indagini.
La stranezza di un reperto talmente importante da essere citato dal ministro dell’Interno in Parlamento ma rimasto sconosciuto al pm titolare dell’indagine per gli inquirenti di oggi — il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e i sostituti Antonio Carchietti e Francesca Dessì — si spiega proprio con la raffinatezza del depistaggio: «il falso recapito» a Grasso, a sua insaputa perché non indicato nei verbali di sequestro giunti sulla sua scrivania, insieme all’indicazione della consegna nelle carte interne alla Questura, «si è rivelato il modo ingannevole consono per la definitiva dispersione del reperto», senza che nessuno all’epoca si ponesse interrogativi.

Le intercettazioni

Il depistaggio risale al 1980, ma secondo l’accusa le false dichiarazioni rilasciate da Piritore lo scorso anno, quando fu ascoltato come testimone, ne sono la prosecuzione. Intercettato con la moglie subito dopo l’interrogatorio non disse che il guanto era scomparso bensì «occultato», secondo lui «negli anni Novanta, quando si è scoperto il Dna»: un tentativo «opportunistico», secondo i pm, di spostare in avanti la sparizione del reperto. Per lui l’interrogatorio fu «uno stress», come disse alla moglie qualche giorno più tardi: «Rompere i coglioni dopo 45 anni… Come cazzo è possibile ricordarsi le cose?».

Per la Procura la sottrazione del guanto è l’ulteriore prova che «le indagini dell’epoca furono gravemente inquinate e compromesse dall’opera di appartenenti alle istituzioni, all’evidente fine di impedire l’identificazione degli autori dell’omicidio del presidente Mattarella».

L’operazione in atto

Un’operazione arrivata fino ad oggi, quando l’ex poliziotto sotto accusa «non ha inteso giustificare ragionevolmente il suo operato», bensì «indirizzare erroneamente le indagini e frapposto ostacoli alla verifica di circostanze essenziali non solo per il ritrovamento del guanto, ma anche per lo svelamento degli interessi per i quali perfino le stesse forze di polizia intesero deviare le investigazioni». In questo quadro «Piritore ha dimostrato di essere portatore, dal 1980 fino a ora, di interessi chiaramente contrari all’accertamento della verità sull’omicidio Mattarella».
Tesi pienamente condivisa dalla giudice delle indagini preliminari che ha ordinato gli arresti domiciliari, giustificandoli col fatto che «chi ha voluto fornire indicazioni ulteriormente fuorvianti sulle sorti della prova regina dell’omicidio di Piersanti Mattarella manifesta pervicacia nella volontà delittuosa».


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24 ottobre 2025