«Quando ho sentito le vostre voci sono quasi scoppiato a piangere.» Così Nayt apre un concerto che, più che una performance, è la celebrazione di un percorso. «Questo è un traguardo importante, non tanto per i numeri, quanto per come ci siamo arrivati, passo dopo passo e anno dopo anno» dice con la voce rotta dall’emozione. È un discorso breve, sincero, che anticipa una scaletta densissima. Sul palco, l’artista molisano ma romano d’adozione, alterna rap serrato, scrittura densa e ritornelli che tradiscono la sua anima cantautorale.
La scaletta è imponente, oltre trenta brani, e tocca i momenti più amati del suo repertorio, da «Certe bugie» a «18 Donne», intrecciando tecnica e introspezione fino a «Un uomo», l’ultimo singolo. Nayt «parla poco», come ama ricordare, ma ogni verso racconta più di mille parole, usa un linguaggio crudo ma non rinuncia mai alla profondità dei testi. Sul palco mette tutto: storie personali, valori, regole e ribellione che trovano una forma unica, che si mescola alla rabbia cruda e all’orgoglio di chi ce l’ha fatta senza tradire le sue origini. Il valore della parola è al centro, tanto quanto la musica. Il concerto corre veloce con un impianto scenico essenziale e una band molto affiatata. Basso, batteria formano una sezione ritmica che scandisce i tempi ad una voce che si estende tra rap e melodia. I tappeti sonori delle tastiere aprono la strada a una chitarra che a volte arpeggia, altre volte taglia. Eclettico e coerente, Nayt è l’anello di congiunzione tra il cantautorato della scuola romana e l’ultima generazione del rap. In lui convivono la poesia di Battisti, la sensibilità di Ciampi e l’urgenza contemporanea di chi sa che la musica è prima di tutto verità.
24 ottobre 2025
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