Nel film «Springsteen: Liberami dal Nulla», l’attore racconta il momento più intenso e oscuro della nascita del disco «Nebraska»: tra rabbia, fragilità e il peso del successo in arrivo
«Durante le registrazioni di Born in the USA, cantavo le strofe e poi mi sdraiavo con un mal di testa tremendo. Ero completamente senza voce. Ho incontrato Bruce Springsteen e quando gli ho spiegato come mi ero ridotto così, lui mi ha risposto: “Allora la stai facendo giusta!”». Occhi azzurri ghiaccio (per l’occasione coperti da lenti a contatto scure), ciuffo arruffato e braccia muscolose: il 34enne Jeremy Allen White, si è trasformato nel The Boss per eccellenza, per raccontare un lato inedito della leggenda del rock americano. Siamo nel 1982 e il cantautore è a un passo dal successo planetario: è in quel momento, il suo più buio, che si chiude in una camera da letto per realizzare un album travagliato e intimo, Nebraska. Il film Springsteen: Liberami dal Nulla, al cinema per 20th Century Studios dal 23 ottobre, si concentra in quello spazio di pochi mesi per mostrarci un uomo davanti ai propri fantasmi. C’è il rapporto travagliato con un padre alcolista e depresso, ma anche la pressione che sente intorno a lui per il successo planetario che sta per arrivare. – foto | video
La nostra video-intervista con Jeremy Allen White e il regista del film – guarda
«Pensiamo a Bruce come The Boss, quello che canta davanti a ottantamila persone, ma in quel periodo della sua vita stava affrontando un dolore enorme: il più difficile», racconta a Oggi il regista di Springsteen: Liberami dal Nulla Scott Cooper, a Roma, insieme al suo protagonista, per l’anteprima nazionale del film. «Abbiamo girato nei luoghi reali, con oggetti e abiti che ci ha dato lui stesso. Ricreare il suo mondo, in modo preciso, era fondamentale per raccontare la storia del più importante artista americano del XX secolo». Il tentativo di Cooper è stato quello di spogliare Springsteen del mito che lo accompagna e mostrare come la sua voce sia ancora attuale oggi: «È un artista politico nel senso più umano del termine. I suoi album parlano a chi vive ai margini, a chi conduce un’esistenza di quieta disperazione, a chi continua a inseguire il sogno americano», conclude.
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Una sfida tutt’altro che semplice per il suo protagonista, Jeremy Allen White, già visto nelle serie tv Shameless e The Bear, che ha dovuto imparare a suonare la chitarra e cantare: «Non avevo mai cantato se non sotto la doccia o in macchina da solo», racconta. «Quando mi hanno proposto questo ruolo, all’inizio ero nervoso. In generale, c’è sempre molta pressione quando devi interpretare una persona vera, figuriamoci quando è qualcuno di così famoso e amato come lui». Il vero Springsteen è stato molto coinvolto nel progetto e ha più volte visitato il set, applaudendo anche l’interpretazione di White. «La prima volta che l’ho incontrato è stato allo stadio di Wembley, a Londra, poco prima che salisse sul palco per uno dei suoi incredibili concerti di tre ore», ricorda. «Era nel suo elemento, aveva una fisicità e una passione travolgente. È stato un regalo, ma anche intimidatorio, visto che da lì a poco avrei dovuto catturare quello che emanava. Ma quando mi ha parlato mi è sembrato così gentile e presente».
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Oltre alla performance musicale, nel film c’è anche molto dolore: la depressione contro cui l’artista-icona ha da sempre combattuto. «Spesso gli attori, soprattutto uomini, temono la vulnerabilità perché la associano alla debolezza. Jeremy no», sottolinea il regista Scott Cooper, parlando di una delle scene più intense della pellicola: quando Bruce si trova per la prima volta nello studio di un terapista. «Ho interpretato spesso uomini persi, incapaci di comunicare», gli risponde l’attore. «Ho capito che per Bruce la chiave è la musica: sul palco o in studio si sente completamente a suo agio, è fuori che iniziano i problemi».
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