La carriera internazionale di Matilda De Angelis passa ora da una scena in cui l’attrice, che in Dracula – L’amore perduto di Luc Besson interpreta un’irresistibile vampira survoltata, pur essendo rimasta senza testa lotta con il due volte premio Oscar Christoph Waltz. E viene giù la sala dall’entusiasmo alla Festa di Roma dove il sontuoso, eccessivo, godibilissimo filmone del regista francese è stato presentato in anteprima per poi sbarcare nei cinema il 29 ottobre con Lucky Red. «Basta con le versioni horror e sanguinolente del romanzo di Bram Stoker», dice il regista, «io ho puntato sull’amore eterno, capace di attraversare le epoche, che lega il protagonista alla moglie defunta». Il suo Dracula ultra-dandy, pronto a tutto per resuscitare la dolce metà, è il sublime Caleb Landry Jones mentre Zoë Bleu (figlia di Rosanna Arquette) fa l’amata moglie Mina, Waltz interpreta il Prete e Matilda è Maria, la vampira amica di Mina. Fuori dal set l’attrice è alta, sottile, più glamour che mai con i suoi stivali-stiletto da dominatrice. E diretta come sempre.
Da che parte ha cominciato per interpretare la vampira?
«Dalle atmosfere del Dracula di Coppola e dalle prime chiacchierate con Besson. “Ti chiederò moltissimo”, mi aveva annunciato, “il tuo personaggio avrà continui sbalzi emotivi e sarà perciò molto difficile”».
Quale è stata la parte più tosta?
«Il regista voleva una vampira ultra-energica che un momento sembra una gattina sensuale pronta a fare le fusa ma subito dopo diventa feroce e ti azzanna. Dovevo ridere e correre, correre e ridere. Dopo otto ore così sul set, alla fine del giornata ero coperta di sudore».
I personaggi potenti, audaci o anticonvenzionali li cerca lei o le vengono proposti in automatico?
«Ognuno di noi trasmette la propria energia agli altri. E qualcosa della mia personalità attrae l’immaginario dei registi. Non sono la persona più docile del mondo».
E le crea dei problemi non esserlo, dire apertamente quello che pensa?
«Farlo nei limiti della ragionevolezza e del rispetto non dovrebbe rappresentare un deterrente o una mancanza. Ma crescendo dovrò imparare a decidere su quali battaglie puntare e cosa invece tenere per me. Per non alimentare polemiche sterili che sono destinate a farmi soffrire e non interessano a nessun altro».
Quando si è rammaricata di aver dovuto dividere con Elodie il Nastro d’argento per il film “Fuori” si è scatenato il finimondo: è stata fraintesa, o strumentalizzata?
«Chi voleva cogliere lo spirito vero delle mie parole, lo ha fatto. Io, da parte mia, continuerò ad assumermi la responsabilità di quello che dico o faccio. Con la massima onestà».
Di cosa va più fiera?
«Di essere ancora qui. Durare, per un attore, non dipende soltanto dal suo valore. E io non darò mai per scontato il privilegio di fare il lavoro che amo per mantenermi».
Una regia è nei suoi piani?
«Non per il momento. Ma andando avanti con l’età magari ci si stanca di aspettare il ruolo giusto e per noi attrici dirigere significa prendere il controllo. Ci fa sentire meno incomprese. Più registe ci sono e meglio è».
Con il successo si è presa qualche rivincita?
«No, perché non sono mai stata una underdog, non sono partita svantaggiata. Ho lavorato tanto e, a differenza di molte mie colleghe, non ho conosciuto il pregiudizio né il lato peggiore del nostro mestiere».
Una qualità che si riconosce?
«A volte ho un brutto carattere, sono impulsiva o irrazionale. Ma so mettermi in discussione e chiedo scusa quando sbaglio».
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